“Stefano si lamentava di continuo per il dolore alla schiena, gli chiesi cosa gli fosse capitato e lui mi disse che era caduto dalle scale. Ma lui non era certo il primo detenuto con segni di percosse a negare di essere stato picchiato”.
A parlare in Corte d’assise, mercoledì 7 novembre 2018, è Giuseppe Flauto, l’infermiere (assolto in via definitiva nel primo processo per la morte di Cucchi, ndr) dell’ospedale Pertini che aveva prestato assistenza a Stefano Cucchi fino alla mattina del 22 ottobre 2009, giorno in cui il geometra romano era morto.
Flauto ha raccontato quando ha trovato Cucchi senza vita: “Quella mattina entrai in cella, lo chiamai, ma lui non mi rispose: era di lato, con una mano sotto la guancia e sembrava dormisse, poi lo girai e mi accorsi che forse era morto. Tentai di fargli un massaggio cardiaco perchè il suo corpo era ancora caldo”.
A essere ascoltata in udienza è stata anche Amalia Benedetta Cerielli, la volontaria alla quale Cucchi, il giorno prima di morire, aveva chiesto di chiamare la famiglia perchè voleva incontrare il cognato. La testimone ha ricordato che, quando lo aveva visto per la prima volta, il 31enne “aveva il viso tumefatto e con lividi”.
Anche Silvia Porcelli, infermiera del reparto di medicina protetta dell’ospedale Sandro Pertini, è stata sentita come testimone e ha confermato quanto detto nel primo processo del 2011: “Stefano Cucchi mi disse che qualcuno gli aveva menato e che erano stati i carabinieri. Quando dissi a Stefano che avrei dovuto chiamare gli agenti della polizia penitenziaria come testimoni di quello che diceva, mentre uscivo dalla stanza, mi disse: non chiamare nessuno, tanto non lo ripeto”.
L’audio che prova il falso dei carabinieri – Il 22 settembre 2018 alle ore tre del pomeriggio una lunga telefonata è stata intercettata dagli agenti della Squadra Mobile della Polizia ed è stata depositata dal pm Giovanni Musarò agli atti del processo per l’omicidio di Cucchi.
Come si può sentire dall’audio diffuso da La Repubblica, si tratta di una conversazione chiave che ricostruisce la genesi di alcuni dei falsi disposti dalla catena di comando dell’Arma di Roma e fondamentali per non far venire a galla la verità.
Il maresciallo Massimiliano Colombo Labriola, comandante della stazione dei carabinieri di Tor Sapienza, chiama al telefono l’appuntato Gianluca Colicchio per informarlo di aver ricevuto un avviso di garanzia per falso ideologico e materiale nell’inchiesta per l’omicidio di Stefano Cucchi. Colombo Labriola, da quanto si sente, appare sorpreso e agitato dall’essere stato chiamato a rispondere dei falsi che, nell’ottobre del 2009, sono stati direttamente ordinati dal Comando di gruppo Carabinieri Roma (nella persona del tenente colonnello Francesco Cavallo) per dissimulare le reali condizioni di salute di Stefano.
Una telefonata fatta, secondo quanto scrive Repubblica, non a caso. Colicchio è infatti, insieme all’appuntato Francesco Di Sano, il carabiniere che conosce, come del resto il maresciallo Colombo, la storia di quei falsi. Chi li ordinò, chi fece pressione perché all’ordine venisse dato corso e come l’intera catena di comando fosse al corrente di quella cruciale manipolazione di atti.
“Se hanno indagato me – si sente -, allora dovranno indagare Cavallo, dovranno indagare Casarsa (il colonnello Alessandro Casarsa, all’epoca Comandante del Gruppo Carabinieri Roma e oggi del reggimento corazzieri del Quirinale) e Tomasone (Vittorio Tomasone, nell’ottobre 2009 Comandante Provinciale dei carabinieri di Roma e oggi Comandante Interregionale per l’Italia meridionale)”.
“Sarò più vicino casa e avrò più tempo per stare con la mia famiglia. Sapevo e non ho mai perso fiducia nell’Arma e i fraintendimenti sono stati chiariti. Sono curioso di cominciare la nuova esperienza lavorativa in un nuovo reparto”.
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