In Italia 7,5 milioni di persone soffrono di depressione. In percentuale si tratta del 12,5 per cento della popolazione, ossia 1,2 cittadini su 10. I dati sono diffusi dalla Società Italiana di Psichiatria (SIP). Si calcola che nel 2020 la depressione costituirà la prima causa di disabilità.
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In totale sono 26 milioni coloro che in Italia hanno avuto un’esperienza diretta o indiretta di questo disturbo mentale. A livello globale sono 300 milioni le persone affette da depressione. Nel peggiore dei casi, la depressione può condurre al suicidio.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Osservatorio nazionale sull’impiego dei Medicinali dell’Aifa, in Italia quasi 2,6 milioni di persone assumono farmaci antidepressivi.
L’Organizzazione mondiale della sanità dichiara che nel 2020 la depressione sarà la più diffusa al mondo tra le malattie mentali e in generale la seconda malattia più diffusa dopo le patologie cardiovascolari.
Negli ultimi quattro anni si è registrato un notevole aumento di casi di malattie mentali. Più della metà della patologie mentali viene avvertita all’età di 14 anni.
Secondo le ricerche la depressione è più diffusa nei paesi economicamente poco sviluppati e nei paesi ricchi sono le persone povere a soffrirne maggiormente.
Abbiamo chiesto al professor Paolo Brambilla, psichiatra presso l’Università degli Studi di Milano, perché spesso si tende a sottovalutare la depressione come se non fosse una vera e propria malattia, come se fosse solo uno stato di tristezza passeggero.
Brambilla fa parte della neonata associazione italiana per i disturbi depressivi, il cui presidente è il professor Carlo Altamura, e che si occupa della depressione in tutte le sue forme, cercando di migliorare la conoscenza delle malattie attraverso attività formative territoriali, webinar e blog.
Perché spesso si sottovaluta la depressione, come se fosse solo uno stato di tristezza momentanea?
Le ragioni possono essere diverse. Quando una persona fa esperienza della depressione clinica generalmente tende a non riconoscerla come una differenza così importante rispetto all’usuale, perché tutti abbiamo vissuto sensazioni di tristezza, di mancanza di speranza, diminuzione di energia nella nostra vita. Si tende ad agganciare queste sensazioni ad eventi di vita oppure a situazioni momentanee, perché quei sintomi sono riconoscibili.
Non stiamo parlando di sintomi fisici che esordiscono in maniera repentina e sono diversi da quelli che di solito abbiamo. Se ci fa male la gamba lo riconosciamo come diverso da noi stessi, mentre se abbiamo un abbattimento dell’umore possiamo non riconoscerlo così diverso da quello che abbiamo vissuto in altre situazioni, che magari erano solo fisiologiche.
Un altro motivo è la percezione sociale. Si tende a voler nascondere queste situazioni anche legate alla depressioni perché si teme il giudizio sociale, lo stigma, per non essere additati come malati di mente o matti.
Un altro dei fattori è la frase tipica che si dice in questi casi: “Vabbeh ce la puoi fare da solo, sono solo debolezze di personalità momentanee”. Questo fa sentire in colpa maggiormente la persona che ha queste problematiche. Se uno ha la polmonite non è che gli si dice: “Vabbeh ce la puoi fare da solo”. Prima ci si cura e poi si fa appello alla forza di volontà per la ripresa, per la riabilitazione.
Le emozioni giocano un ruolo fondamentale: quando si parla di alterazione dell’umore, di diminuzione della speranza, di sensi di colpa, chiaramente pensare che ce la devi fare da solo e vedere che non ce la fai, aumenta la tendenza a non riconoscerlo come un disturbo e a nasconderlo.
Quali sono i sintomi della depressione?
Ci sono delle variazioni evidenti del proprio funzionamento. Si perdono giorni di lavoro, giorni di scuola, si tende a isolarsi, ci si ritira, ci sono variazioni del sonno, dell’appetito. Questi sono campanelli d’allarme. Per trattarsi di depressione queste devono essere situazioni prolungate nel tempo, non che durino due o tre giorni, come fossero fisiologiche.
Parliamo di una delle malattie a più alta prevalenza e con la maggiore disabilità sociale e lavorativa.
La presenza di così tanti casi di depressione è legata alla contingenza storica in cui stiamo vivendo?
Ci sono degli aspetti di disturbi dell’ansia o depressivi che possono essere legati anche a fattori momentanei come la crisi economiche. Questo ha portato a maggiori livelli di difficoltà di adattamento.
In questo momento di difficoltà economica, di licenziamenti, di insicurezze lavorative, questi fattori sicuramente portano a una maggiore instabilità e fragilità emotiva o quote d’ansia, scoramento e sindrome di adattamento con aspetti emotivo-depressivi.
Come si cura la depressione?
Sicuramente non si può esulare dalla terapia farmacologica con farmaci antidepressivi. Bisogna ristabilizzare sonno, appetito, energia, umore, pensiero e una volta che questi sintomi sono ristabiliti allora si può avviare un approccio più psicoterapico, cognitivo-comportamentale.
Chi è più predisposto a soffrire di depressione?
Sicuramente sono più predisposte le persone che hanno una familiarità su base genetica, chi ha subito traumatizzazione cronica durante l’infanzia, o chi ha assunto sostanze durante l’adolescenza come alcol, cannabis o cocaina.
Altri fattori di rischio sono di tipo biologico: traumi da parto, sofferenze fetali che possono rendere il nostro cervello sensibile a eventi avversi e quindi più fragile dal punto di vista psicologico, rispetto alla propria sensibilità psichica e neurotrasmettitoriale. La serenità psichica è legata ai neurotrasmettitori e al nostro sistema nervoso centrale.
La depressione è legata ad altri disturbi psichici?
La depressione si accompagna spesso ai disturbi dell’ansia. Le sindromi ansiose-depressive si verificano in età più avanzata. In età giovanile la depressione si può legare a disturbi dell’alimentazione come la bulimia, l’anoressia e le sindromi ossessive.
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