“La sottoscritta informa che negli ultimi giorni sono stata avvicinata da molte detenute che hanno raccontato fatti gravi che riguardano le mie colleghe. Essendo la cosa molto delicata, ho cercato di evitare di ascoltarle e ho riferito tutto subito all’ispettore”.
Sissy Trovato Mazza aveva messo nero su bianco sulle sue perplessità su quanto accadeva nel carcere della Giudecca di Venezia e queste parole, scritte su un foglio vergato a mano e indirizzato alla direzione del penitenziario, e trovato in un cassetto della sua abitazione, ne sarebbero la prova.
La Giudecca era il carcere femminile in cui ha lavorato per 4 anni come agente penitenziario. Sissy Trovato Mazza, il primo novembre 2016 venne ridotta in stato vegetativo da un colpo di pistola esploso da mano ignota nel vano dell’ascensore dell’ospedale civile di Venezia, dove era in servizio esterno.
Per molto tempo il caso è stato trattato come suicidio, sia dagli investigatori che dai pm, ma la famiglia non ha mai creduto a questa tesi, il padre Salvatore Trovato Mazza ha spiegato anche a TPI le motivazione che lo hanno sempre spinto a cercare la verità e a non far archiviare il caso.
Il gip Barbara Lancieri aveva in parte accolto la richiesta disponendo nuove analisi, per le quali anche i parenti di Sissy, assistiti dall’avvocato Fabio Anselmo, hanno nominato due consulenti.
La famiglia è sempre stata convinta che qualcuno abbia ucciso Sissy che, nel periodo precedente, aveva denunciato fatti gravi che riguardavano le sue colleghe nel carcere femminile della Giudecca.
Nella lettera ritrovata dal papà Salvatore si specifica il nome della persona con cui Sissy avrebbe parlato. Interpellato dall’ANSA il legale della famiglia dell’agente, Fabio Anselmo, conferma l’esistenza della lettera precisando di non sapere se questa è già stata allegata al fascicolo d’indagine aperto contro ignoti per induzione al suicidio dalla Procura di Venezia.
A confermare la tesi per cui Sissy fosse in qualche modo in pericolo per i fatti di cui era a conoscenza, c’è la rivelazione di un’ex detenuta del carcere della Giudecca che al quotidiano Fanpage.it ha dichiarato: “So che Sissy aveva scoperto la presenza di droga, parliamo di cocaina, per essere precisi – dice la fonte – e so anche dove veniva nascosta e come veniva tenuta lontana dalle perquisizioni. Quando arrivavano a controllare i cani antidroga venivano trattenuti per un po’ giù, mentre la coca veniva nascosta nelle plafoniere della cella 2, dove certo i cani non potevano raggiungerla”.
“Tutti sapevano come andavano le cose”, prosegue la fonte a Fanpage, “ma nessuno aveva il coraggio di parlare: ‘se non si fa gli affari suoi, la mandiamo a 900 chilometri dai suoi figli’ mi dissero per scoraggiarmi dal dire qualunque cosa, ma ora non ho più paura, tutto deve venire fuori”.
“Io temo che quel giorno (il 1° novembre 2016, quando è stata colpita) Sissy sia stata vittima di un tentativo d’intimidazione finito male, un chiarimento, insomma, degenerato nel sangue”. “Lei era una persona pulita, era l’unica agente con cui noi detenute potevamo parlare, ci ascoltava, ci consigliava, ci aiutava. Era una persona pulita, per questo lì non stava bene”.
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