“Stamattina in giro per il villaggio alcuni dicevano ‘ah, l’hanno ritrovata!’, poi ho chiamato subito il comandante generale che ha smentito. Siamo in apprensione e nonostante questo momento leggiamo anche le cose terribili che alcuni in Italia dicono di Slivia”.
A parlare è Davide Ciarrapica, fondatore della Onlus Orphan’s Dream, con cui Silvia Romano – la cooperante di 23 anni rapita a Chakama – ha fatto un’esperienza di un mese di volontaria.
Nella notte tra il 20 e il 21 novembre 2018 la giovane volontaria italiana di 23 anni Silvia Costanza Romano è stata rapita nel sud est del Kenya. (qui il suo profilo). Davide ha fatto un punto della situazione per TPI.
Davide dove ti trovi adesso?
A Ikoni, vicino Mombasa. È molto sicuro qui. Ma anche qui quando vado a dare del cibo alle persone in mezzo alla foresta sembrano tutti buoni, però anche il mio partner qui mi dice sempre fatti accompagnare da qualcuno perché non sai mai cosa ti può capitare.
La prima volta gli ho detto “sono quasi tutti anziani e bambini, cosa vuoi che mi succeda”, e lui mi ha detto: “sono io africano, non tu, fatti accompagnare”.
Mi chiedo come sia possibile che una ragazza di 23 anni, alla prima esperienza e ancora bonariamente ingenua, sia stata eletta referente da una Onlus che lavora da molti anni.
Non è normale che una ragazzina di 23 anni sia stata fatta referente dopo un mese di esperienze, in mezzo alla foresta. Questo l’ha spinta a restare, sicuramente. Con un piccolo salario. Lei prima di noi non ha fatto niente di volontariato.
Era con me in aereo la prima volta che è venuta in Africa. Vorrei che tutte le persone che puntano il dito su Silvia si mettessero la mano sulla coscienza, e capire che questa ragazza stava cercando di aiutare bambini in povertà assoluta. Come queste persone riescano a dire brutte parole sul suo operato è inumano.
Sì. C’è un distinguo da fare tra una persona ingenua alle prima armi e una che se le cerca. Per Silvia si è trattato di un incidente che può capitare a tutti, in qualunque parte del mondo.
Quello che si pensa, dalle informazioni che mi ha dato il generale qui in Kenya, è che abbiano fatto due ore di percorso nelle stradine dissestante fino ad arrivare al mare e da lì hanno preso una barca veloce verso la Somalia, dove è più facile nasconderla. Anche perché in Kenya il presidente ha già mandato le forze speciale a pattugliare la zona dal paesino fino alla frontiera.
Io lo spero perché secondo loro questo non è un gruppo di terroristi, e sono ancora più disorganizzati e magari impauriti. Io spero che la lascino da qualche parte o che chiedano il riscatto.
Inizialmente, quando lei è stata nei mio orfanotrofio e mi ha detto che voleva andare in questa associazione le ho spiegato che andare nell’altro villaggio era una cosa completamente diversa. “Qui sei in un orfanotrofio, hai l’elettricità, c’è la sicurezza, là sei in mezzo alla foresta, al niente”. Ma lei è andata ugualmente. Inizialmente le cose sono andate bene, è rimasta circa un mese.
Poi un pomeriggio della prima settimana di novembre è venuta a trovarci qui in orfanotrofio dicendo che sarebbe ripartita la sera stessa per il villaggio perché l’avevano fatta referente.
Nel momento in cui ce lo ha comunicato il mio partner keniota che era con me le ha detto: “Silvia non andare là perché sei in mezzo alla foresta da sola”.
Lei ha risposto: “No, sono tutti bravi e tutti miei amici”. Aveva semplicemente l’ingenuità dei buoni propositi.
Il mio partner keniota ha ribadito: “Silvia sei una 23enne, donna, italiana, ricordati che in Africa dopo un mese nessuno è tuo amico”.
L’uomo bianco è visto come un dollaro da chi è senza scrupoli. Nel mondo troviamo brave persone ovunque ma il mio partner le aveva detto chiaramente: “Guarda che dopo un mese nessuno è tuo amico. Un conto è qui in orfanotrofio, che sei tra quattro mura e c’è la sicurezza, con la polizia che arriva in due minuti. Un conto è lì”.