dall’inviata Anna Ditta. Spinaceto, periferia romana. Siamo appena fuori dal grande raccordo anulare, in direzione sudovest, dentro un pugno di frazioni che divide Roma dal mare.
Per gli standard della Capitale, non troppo periferia, non di certo centro.
Chi vive qui ha la fortuna di avere a due passi la Cristoforo Colombo, una delle arterie principali di Roma Sud. Sopra, il famoso quartiere Europa, detto Eur.
Spinaceto è uno dei quartieri interessati dai famosi “Piani di zona“, strumenti predisposti negli anni Sessanta per favorire l’acquisizione di aree comunali da destinare all’edilizia economica e popolare.
Marina* vive in uno degli appartamenti costruiti nell’ambito del Piano di zona di Spinaceto 2. Separata, lavora come dipendente pubblico e ha tre figli, di cui due vivono con lei. Nel 2010, quando le è stato assegnato un alloggio, pensava di aver trovato la casa definitiva.
“Ora torneremo a fare i nomadi, alcuni di qua e alcuni di là”, dice dopo che le è stata notificata l’ordinanza di sfratto per il 29 maggio. Ma, almeno per il momento, non ha intenzione di darsi per vinta.
“Sono morosa, questo lo ammetto senza problemi”, dice Marina a TPI, “ma bisogna guardare perché siamo arrivati a questa situazione”.
La sua famiglia vive in uno degli alloggi realizzati dal Consorzio Regionale Cooperative Edilizie Vesta Scrl (di seguito Vesta), un gruppo di cooperative che hanno ricevuto fondi della Regione Lazio per la costruzione di edifici per l’housing sociale su un terreno del comune, che ha ceduto loro il diritto di superficie in cambio del rispetto di alcuni obblighi.
Al contrario di altri costruttori, che hanno predisposto un patto di futura vendita, Vesta ha costruito abitazioni da concedere ad affitto permanente, con un canone di locazione agevolato.
Si tratta complessivamente di 60 appartamenti consegnati nel 2010 ai beneficiari, che ne avevano ricevuto il diritto partecipando a un bando e mostrando di avere determinati requisiti.
Non si tratta di vera e propria edilizia popolare – sono famiglie che, come Marina, hanno un reddito – ma di uno strumento per reagire all’emergenza abitativa di Roma aiutando le persone in difficoltà.
“Oggi posso dire che accettare di prendere questa casa è stato un grande errore”, dice Marina, “ma allora non potevo saperlo”.
Lo scandalo degli “affitti gonfiati”
Ai futuri inquilini, racconta Marina, era stato inizialmente prospettato un canone mensile che si aggirava tra i 380 e i 400 euro.
All’atto concreto, però, gli affitti si sono rivelati ben più alti.
“Quando ci hanno chiamato, e ci sono arrivate le lettere a casa, siamo tutti rimasti di sasso”, racconta Marina. “Due camere settecento euro al mese, tre camere novecento, con l’Iva e il condominio si arrivava a pagare tra gli 850 e i mille euro al mese”.
“Si è trattato di scegliere”, dice Marina. “Aspettavamo la casa da tanti anni, la disperazione alla fine ci ha fatto accettare, ma avrei dovuto capire che non potevo durare a queste condizioni”.
Gli inquilini hanno compreso subito che c’era qualcosa che non andava, e alcuni di loro, come lei, negli anni sono rimasti indietro con i pagamenti.
“Dal prezzo massimo di cessione, stabilito dal comune, non era stato detratto il 30 per cento che le cooperative avevano ricevuto a fondo perduto dalla regione”, spiega Marina. Non era stato detratto neanche un ulteriore 30 per cento di finanziamento da restituire alla Regione indicizzato Istat “dal 31esimo anno (quindi dalla scadenza della convenzione che regolamenta i prezzi calmierati) al 45esimo ed ancora oggi non detratto. “Altrimenti non si sarebbe spiegato perché le cifre erano e sono ancora così alte”.
“I prezzi per un appartamento di media metratura sarebbero dovuti essere di circa 380 euro esenti da Iva, sono diventati circa 670-680 euro oltre Iva”, spiega Fabrizio, un altro inquilino del Piano di zona di Spinaceto 2.
“Non solo erano stati falsati i prezzi massimi di cessione, come tutt’oggi ancora risultano falsati, non decurtando i finanziamenti ricevuti dalla Regione, il famoso 30 per cento di contributo più l’ulteriore 30 per cento di finanziamento altresì concesso senza la sottoscrizione di alcuna garanzia di restituzione”, prosegue Fabrizio, “Ma a questo hanno aggiunto anche l’applicazione dell’Iva al 10 per cento in adozione del regime fiscale per le case di edilizia convenzionata anziché quello in esenzione, come previsto per le case in edilizia agevolata, anche perché così facendo hanno eroso ulteriormente il beneficio dei contributi regionali”.
“Questo falsa anche la concorrenza, alla faccia degli altri costruttori che non hanno ricevuto contributi pubblici, né terreni in diritto di superficie ne sgravi sugli oneri concessori e di urbanizzazione”, aggiunge.
Nel 2012 il sindacato degli inquilini Asia Usb, guidato da Angelo Fascetti,tramite l’avvocato Vincenzo Perticaro, denuncia la questione alla magistratura e scoppia lo scandalo degli “affitti gonfiati”, che non riguarda solo Spinaceto.
Nel 2013 seguono le denunce degli inquilini assegnatari, seguiti a catena di altri Piani di zona. Anche in questo caso è l’avvocato Perticaro a seguire il procedimento per conto degli inquilini.
Si apre così un filone giudiziale sulle imprese coinvolte, che avrebbero intascato contributi pubblici, terreni ed altro, destinati alla realizzazione di alloggi a prezzi agevolati. Le case, al contrario, vengono affittate o vendute agli inquilini a prezzo di mercato.
La revisione delle tabelle
“Dopo circa un anno, con le indagini e il sequestro degli immobili e dei conti a Vesta, oggi in liquidazione coatta amministrativa, qualcuno dice sì, effettivamente state pagando troppo”, racconta Marina, “Il comune rivede le tabelle con i prezzi massimi di cessione e ci vengono tolti mediamente 130 euro circa a testa”. Si è quindi ancora lontani dal prezzo che gli inquilini ritengono corretto.
I costruttori fanno ricorso contro questo provvedimento esercitato in autotutela dal comune a ottobre 2013, con cui è stato decurtato dall’affitto degli inquilini il contributo in conto capitale del 30 per cento pari a quasi due milioni erogati dalla Regione. Il Tar però dà ragione al comune e, di conseguenza, agli assegnatari, anch’essi costituitisi al Tar in opposizione.
Per due anni gli inquilini sono in balia di loro stessi. Dal momento che la struttura è sotto sequestro, non c’è il portiere e devono auto-organizzarsi. Le fatture e la corrispondenza non arrivano e si devono prodigare per pagare l’acqua che gli viene staccata per morosità, come la corrente condominiale e gli impianti ascensori che si fermano per distacco delle linee telefoniche del telesoccorso.
Dopo aver pagato, queste spese vengono addebitate loro nuovamente e maggiorate di ulteriore Iva nei consuntivi condominiali emessi con anni di ritardo ed una infinità di errori.
Vesta non sopravvive al sequestro, e nel 2015 viene posta in liquidazione coatta amministrativa.
Gli sfratti
“Quando è stato nominato un liquidatore, si è rimesso tutto in moto. Bisognava mettersi in paro con gli affitti, ma non ce l’abbiamo fatta”, racconta Marina.
Non appena arrivano le lettere di diffida, gli inquilini si rivolgono a un avvocato. Chi ha delle morosità più importanti, invece, va avanti per la sua strada, seguendo l’iter della diffida e, consecutivamente, dello sfratto.
“Abbiamo fatto opposizione ma l’abbiamo persa, perché il giudice civile non entra nel merito del procedimento penale”, spiega lei. “Altri che erano sotto sfratto hanno preferito lasciare, io sono rimasta”.
La sentenza di sfratto per Marina è arrivata a settembre 2017. Il 29 maggio, se non cambierà nulla, dovrà lasciare il suo appartamento.
Ci sono stati tentativi di mediazione, con piani di rientro che però Marina definisce “improponibili”, con 2.500 euro al mese da pagare e senza la certezza di rimanere nella casa.
I piani di rientro previsti dal commissario liquidatore non tengono conto delle tabelle che devono essere ulteriormente corrette dal comune, sia per l’ulteriore 30 per cento rimasto ancora in sospeso che per la decurtazione delle migliorie interne ed esterne (20 per cento) impropriamente maggiorate nei prezzi massimi di cessione da parte del costruttore.
Al momento, 12 appartamenti dello stabile sono vuoti. E probabilmente vi resteranno, perché nel frattempo il 30 aprile 2018 è scaduto il contratto a tutti gli inquilini.
“Ora qualcosa dovrà succedere, nel bene o nel male”, dice Marina. “Queste case sono state realizzate per risolvere l’emergenza abitativa, con gli sfratti invece si rischia di peggiorare la situazione”.
“Io chiedo che sia data a tutti la possibilità di comprare le case, con dei mutui agevolati”, prosegue. “Nel mutuo si può inserire anche l’effettiva morosità che dovrà essere accertata dal Tribunale penale in sede di costituzione di parte civile, così ciascuno riuscirebbe a pagarla. Ci sono anche dei contributi europei per questo”.
Le inadempienze del comune
A ottobre 2017 l’assessore all’Urbanistica del comune di Roma, Luca Montuori, dopo una serie di manifestazioni da parte di Asia Usb, scrive una lettera alla Prefettura in cui dice chiede di non sfrattare gli inquilini del piano di Spinaceto 2 perché il comune ha avviato il procedimento di revoca della convenzione.
“Ad oggi il comune deve ancora decurtare dal prezzo massimo di cessione il 20 per cento delle migliorie, oltre il restante 30 per cento di finanziamento regionale che sta producendo un indebito arricchimento per i costruttori non decurtandolo dai prezzi massimi di cessione per il periodo convenzionato”, spiega Fabrizio.
Ma per chi ha ricevuto lo sfratto, come Marina, sembra non esserci scampo, a meno che il comune non adotti la delibera con cui revoca la convenzione con Vesta.
La revoca è inoltre atto dovuto nel caso di procedure concorsuali, oltre che per il mancato rispetto delle regole, che prevede anche sanzioni ad oggi maturate ma non applicate.
Il 9 aprile 2018 Montuori ha scritto una nuova lettera in cui chiede di non mandare via gli abitanti di Spinaceto perché è stato avviato il processo di revoca della convenzione con Vesta. Ma da quel giorno è passato oltre un mese e il comune di Roma non ha ancora adottato la delibera.
“A parte il procedimento legale che noi abbiamo avviato, la soluzione è politica”, spiega Susanna Pampinella, inquilina dello stesso stabile e referente di Asia Usb per Spinaceto 2.
“Devono risolvere il problema sia il comune di Roma sia la Regione Lazio, perché queste abitazioni stanno al limite tra le due istituzioni: il terreno è comunale e i soldi sono della Regione Lazio”, precisa.
“Le basi per trovare una soluzione ci sono”, aggiunge, “perché la convenzione che ha stabilito il permesso a costruire e quindi ad acquisire i soldi per questo stabile, prevedeva degli obblighi che il costruttore non ha rispettato, e questo è motivo di revoca della convenzione. Il comune può acquisire quindi il patrimonio”.
“Il comune di Roma deve assolutamente progredire in questa revoca per prendere il possesso dell’immobile. Questo permetterebbe il blocco degli sfratti”, sostiene Susanna.
Anche lei, che non ha un procedimento di sfratto in corso, si aspetta giustizia, perché, dice, “l’affitto che stiamo pagando in questo periodo è un affitto non dovuto”.
“Queste case sono state costruite per la gente, non per i costruttori, e invece ci hanno mangiato i costruttori”, dichiara.
“Hanno fatto speculazione commerciale su edifici che avrebbero dovuto avere finalità di housing sociale“, aggiunge Fabrizio.
Il commissario liquidatore, intanto, non ha rinnovato le locazioni, unica fonte di reddito per Vesta, con il probabile obiettivo di vendere gli appartamenti al pubblico incanto, e non agli assegnatari, titolari di diritto di prelazione sulla compravendita nei termini di legge previsti.
“Peccato che non si possa vendere”, sostiene Fabrizio, “come è successo ad aprile per il piano di zona di Castelverde, il Tar ha dato ragione al comune ed agli inquilini e non alla banca che aveva fatto il pignoramento in virtù di una ipoteca impropriamente iscritta sul terreno del comune. Anche in quel caso si trattava di una impresa fallita”.
A maggio 2017 si sono chiuse le indagini sul Piano di Zona Spinaceto 2 in capo a Vesta, e a breve si attende il rinvio a giudizio. Indagati sono non solo il costruttore e i suoi collaboratori, ma anche dirigenti comunali del nono dipartimento.
Una soluzione urgente
“Le lettere di Montuori non hanno fermato il procedimento di sfratto. L’ufficiale giudiziario è stata molto comprensiva e di grande umanità, ma il suo lavoro è comunque quello di svuotare gli appartamenti”, spiega Marina.
“La revoca della convenzione potrebbe far cambiare le cose”, sostiene Fabrizio, “Automaticamente Vesta perderebbe il diritto sugli alloggi, quindi lo sfratto andrebbe a decadere. Rimarrebbe in piedi solo la parte del contenzioso economico, ma questo si stabilirà in sede penale su chi realmente deve avere o deve dare”.
Alla revoca farebbe seguito la ritenzione dei fabbricati da parte del comune di Roma, che si suppone dovrebbe pagare al costruttore la differenza costituita dal valore del fabbricato.
Mentre per i finanziamenti è del tutto improbabile che la Regione riesca a riprendere le cifre anticipate.
“Inoltre”, aggiunge Fabrizio, “l’avvocatura del comune di Roma si dovrebbe costituire come terzo nei procedimenti dei decreti ingiuntivi e degli sfratti, chiedendo la sospensione o l’annullamento del procedimento. Ma finora non lo ha fatto”.
“Intanto”, sottolinea, “la gente continua a dover abbandonare le case e a restare per strada. Stanno buttando la gente fuori di casa senza considerare se hanno il diritto di farlo”.
La risposta della Regione Lazio
In seguito a una richiesta di chiarimento della situazione e di sollecito da parte di TPI, l’assessorato all’Urbanistica regionale l’11 maggio fa sapere che: “la Regione Lazio non ha una competenza diretta, mentre è il comune di Roma che avrebbe dovuto riscrivere la convenzione”.
L’assessorato fa sapere inoltre di aver “richiesto all’Assessorato comunale all’Urbanistica di intervenire per far dare una proroga degli sfratti (previsti per la fine di maggio)”.
Ecco il resto della risposta:
Come Regione stiamo lavorando per avviare la mappatura del patrimonio abitativo pubblico e privato da destinare all’edilizia residenziale pubblica e ad affitto con canoni calmierati, favorendo inoltre gli interventi di autorecupero degli alloggi.
Per quanto riguarda l’edilizia agevolata c’è bisogno di un cambio di passo, a partire dal completamento delle opere di urbanizzazione primaria del secondo PEEP. Per affrontare questa situazione sarà istituito un Osservatorio, composto da rappresentanti di Regione, Comuni, operatori economici, consorzi per le opere a scomputo e associazioni dei cittadini residenti.
Il compito dell’Osservatorio sarà analizzare le criticità emerse per il completamento delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria; verificare i prezzi massimi di cessione e le anomalie delle convenzioni sulle trasformazioni; quantificare le somme ad oggi necessarie al completamento delle opere e verifica delle procedure da adottare per la realizzazione in conformità alla disciplina di riferimento.
Sarà importante promuovere anche una semplificazione nell’edilizia sovvenzionata con interventi immediati per rispondere alle esigenze dei cittadini sia favorendo azioni di auto recupero degli alloggi che stabilendo nuove norme che consentano la mobilità degli inquilini e i cambi di alloggio per dare flessibilità alle diverse esigenze abitative.
In questi giorni è stato avviato una serie di incontri con le varie realtà che operano nel settore della casa: l’Amministrazione regionale vuole promuovere un processo di confronto e di collaborazione istituzionale a tutti i livelli per affrontare l’emergenza abitativa ed individuare soluzioni mirate e condivise.
Nonostante un nuovo sollecito, nessun impegno preciso è stato assunto dall’assessore regionale all’Urbanistica Massimiliano Valeriani.
TPI è in attesa di conoscere la risposta di Luca Montuori, assessore all’Urbanistica del comune di Roma, e di sapere se la delibera per fermare gli sfratti sarà adottata dal consiglio comunale.
*Nome di fantasia usato per proteggere l’identità della persona intervistata.
Leggi l'articolo originale su TPI.it