La notizia, diffusa dalla Nasa il 23 febbraio, ha subito alimentato le teorie di chi sostiene l’esistenza di altre forme di vita nell’universo, aprendo nuovi interrogativi sui mondi alieni, prospettando scenari futuristici degni della penna di Isaac Asimov, e a un passo (si fa per dire) dal nostro sistema solare.
Nell’orbita di Trappist-1, una nana rossa ultrafredda distante circa 40 anni luce dal nostro pianeta, sono stati scoperti sette piccoli esopianeti rocciosi, con caratteristiche simili a quelle della Terra. Alcuni dei nostri “gemelli” avrebbero densità rocciosa e temperature che consentirebbero la presenza d’acqua liquida. E potenzialmente, della vita.
La ricerca, pubblicata su Nature e coordinata dall’università belga di Liegi, è stata possibile grazie alle osservazioni congiunte effettuate da telescopi basati a terra – come il Trappist-South presso l’Osservatorio di La Silla, in Cile, e il Very Large Telescope al Paranal, entrambi dell’European southern observatory – e dallo spazio, grazie al telescopio Spitzer della Nasa.
Per capire le implicazioni e la portata della scoperta, TPI ha intervistato Nichi D’Amico, presidente dell’Inaf, l’Istituto Nazionale di Astrofisica.
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Annunciando l’esistenza di Trappist-1, la Nasa ha suggerito che trovare una nuova Terra, oramai, “non è più una questione di se, ma di quando”. Si tratta davvero di una svolta epocale per la scienza?
È senza dubbio una scoperta importantissima, non solo dal punto di vista scientifico, ma anche culturale e sociale: è affascinante sapere, con sempre maggiore sicurezza, che oltre il nostro sistema solare ci sono luoghi potenzialmente favorevoli alla vita. Ricordo, inoltre, che stiamo parlando di un sistema molto vicino alla Terra, a non più di 40 anni luce. A una simile distanza, le tecnologie che l’Italia sta sviluppando in Cile insieme ai partner europei, permetteranno in futuro di misurare i parametri delle atmosfere di questi sette pianeti, e dunque, di giungere a considerazioni conclusive circa l’esistenza di forme di vita nel sistema Trappist-1. Potremmo così arrivare a un ulteriore, grande salto di conoscenza, se non a una vera rivoluzione culturale.
Quali sono queste tecnologie? E quanto tempo ci vorrà perché entrino in funzione?
Ruotano attorno al progetto E-ealt, il super telescopio con diametro da 40 metri in fase di costruzione in Cile. L’Italia è in prima linea nello sviluppo di una strumento di spettroscopia ad altissima risoluzione – denominato Hires – che verrà inserito all’interno di questo telescopio. E-ealt sarà pronto nel giro di un decennio. A 40 anni luce dal sistema Trappist-1, non gli sarà difficile analizzare le atmosfere dei suoi sette pianeti,e scoprire se sono abitabili o meno.
Per adesso dobbiamo accontentarci dei dati che conosciamo. Si parla di pianeti “sosia” del nostro. Ma possono esserci forme di vita?
La combinazione dei dati che conosciamo, relativi alla distanza di questi pianeti dalla loro stella, alla temperatura della nana rossa e alle dimensioni di Trappist-1 (pari a circa il 10 per cento di quella del Sole) dovrebbero offrire le condizioni per l’abitabilità. Alcuni dei sette pianeti scoperti potrebbero dunque avere la giusta densità, temperatura e atmosfera che consentono la presenza dell’acqua, dunque di vita organica. In questi anni stiamo assistendo a un vero e proprio expolit di scoperte di questo tipo, tanto che di pianeti extrasolari ne conosciamo tantissimi. La risonanza di quest’ultimo annuncio è giustificata dalla distanza di questo sistema planetario dal nostro, risibile dal punto di vista astronomico.
Ma come sono state ricavate le dimensioni, la possibile composizione e le orbite?
Quando si fanno queste osservazioni si studia il fenomeno del calo di luce di una stella, che avviene quando un pianeta gli passa davanti. Dai dati ricavati si riescono a desumere le dimensioni dell’orbita dal pianeta, che ci dicono a che distanza si trova il corpo celeste dalla stella, dunque quale temperatura può avere un pianeta: se freddissima o caldissima. Una temperatura intermedia è il primo ingrediente della cosiddetta “fascia di abitabilità”, cioè quell’insieme di parametri che consentono la vita così come l’abbiamo sempre concepita. È uno degli indizi che spinge a tenere sotto osservazione sistemi di questo tipo.
Oltre alla vicinanza, qual è la peculiarità del sistema Trappist-1?
Ricorda un po’ il nostro sistema solare, ma in miniatura, visto che le orbite dei pianeti sono molto più piccole. Tutti e sette i corpi celesti sono molto vicini alla stella nana, che però è molto più piccola e più fredda rispetto al Sole. Quest’equilibrio fa presumere che in qualcuno di questi pianeti possano esserci le condizioni per l’esistenza di acqua allo stato liquido sulla superficie, e di tutto ciò che serve per immaginare lo viluppo della vita.
Anche simile a quella umana?
Nessuno, al momento, può escluderlo. Dipende dall’evoluzione del sistema che definiamo “abitabile”. Potrebbe essere al livello primordiale o già in una fase avanzata, o addirittura evoluta come la nostra. Va detto anche che quando parliamo di vita, usiamo sempre i parametri terrestri, e la immaginiamo come siamo stati abitati a vederla nel nostro pianeta. Dunque, il salto tra l’esistenza terrestre e quella che un giorno potremmo scoprire su uno dei sette pianeti Trappist, potrà esser molto più grande di quanto oggi immaginiamo.
È possibile che ci siano altri sistemi simili a Trappist-1,non lontani dal nostro?
La scoperta di un sistema così vicino può implicare, anche solo dal punto di vista statistico, l’esistenza di molti altri simili. Perché no? Se ci saranno, li scopriremo. Le attività osservative sono in continua evoluzione. Siamo solo all’inizio di una grande sfida, e questa scoperta, com’è accaduto sempre finora, ne chiamerà altre, dando ulteriore impulso a tutta la ricerca scientifica.
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