Leonarda Cianciulli, conosciuta come la “saponificatrice di Correggio”, è stata una famosa serial killer del Novecento. La maggior parte delle informazioni su di lei viene dal suo memoriale, Confessioni di un’anima amareggiata, che alcuni ritengono un falso e che contiene anche dettagli sui tre omicidi commessi.
I delitti che commise furono incredibilmente efferati, e ancora oggi se ne discute per cercare di far luce sulla sua vita e per smontare l’aura che lei stessa si costruì all’epoca del processo a suo carico.
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Nata a Montella, in Irpinia, nel 1894, sin dalla giovane età si dimostrò propensa al crimine, commettendo alcuni reati minori, tant’è che a 18 anni fu condannata a quasi un anno di reclusione per furto, truffa e minaccia a mano armata con coltello. Quando a 23 anni sposò Raffaele Pansardi, un impiegato, si trasferì con lui a Correggio, in provincia di Reggio Emilia, per crearsi una nuova vita lontana dai compaesani che la vedevano come una donna di facili costumi, irriverente e dedita alla millanteria e alla truffa.
La madre, in punto di morte, l’avrebbe maledetta per non aver sposato il cugino, che i genitori avevano scelto per lei, augurandole molta sofferenza. In più, secondo quanto riporta il memoriale, anche una zingara anni prima le aveva fatto il malocchio, prevedendo la morte dei figli: “Ti mariterai, avrai figliolanza, ma moriranno tutti i figli tuoi”.
A Correggio la donna era riuscita ad avviare un piccolo commercio di abiti e mobili, ma perse ben tredici bambini, tre per aborto spontaneo e dieci appena nati. Dopo essersi rivolta ad una strega locale per aggirare le premunizioni, riuscì ad avere quattro bambini. Per la Cianciulli proteggere i figli da qualsiasi male divenne una missione prioritaria e da portare a termine a qualunque prezzo.
Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, il figlio maggiore, Giuseppe, rischiava di essere mandato al fronte, ma la Cianciulli non poteva sopportalo, temendo di perderlo. Nel memoriale racconta di essersi nuovamente rivolta alla magia per evitare quella chiamata alle armi, e proprio a tal fine di essersi persuasa a compiere sacrifici umani. La madre stessa le sarebbe apparsa in sogno esigendo da lei del sangue fresco.
“Non potevo sopportare la perdita di un altro figlio. Quasi ogni notte sognavo le piccole bare bianche, inghiottite una dopo l’altra dalla terra nera… Per questo ho studiato magia, ho letto i libri che parlano di chiromanzia, astronomia, scongiuri, spiritismo: volevo apprendere tutto sui sortilegi per riuscire a neutralizzarli”.
Da qui presero piede i tre omicidi commessi dalla donna fra il 1938 e il 1940, tutti di donne e tutti avvenuti con lo stesso modus operandi. Selezionava donne non più giovani e alla ricerca di una nuova vita, convincendole di aver trovato loro una sistemazione in un luogo lontano e convincendole a farsi consegnare tutti i loro beni. Dopo di che, le uccideva e smembrava i cadaveri sciogliendoli nella soda caustica, al fine di ricavarne del sapone.
“Non ho ucciso per odio o per avidità, ma solo per amore di madre”.
Il primo omicidio: Ermelinda Faustina Setti
Ermelinda Faustina Setti era una donna settantenne priva di educazione. Puntando sul suo romanticismo estremo, la Cianciulli le disse di aver trovato per lei un marito a Pola, città della Croazia all’epoca italiana, e di aver organizzato il viaggio.
Dopo averla convinta a non dire niente agli amici, con la scusa di evitare maldicenze, la invitò a casa sua per la partenza. Lì le fece firmare delle lettere per le amiche più strette, che avrebbe inviato una volta a Pola per rassicurarle, e una delega alla Cianciulli stessa per la gestione di tutti i propri beni. Subito dopo la uccise a colpi di ascia, smembrandone poi il corpo in nove parti e raccogliendo il sangue in un catino.
Successivamente, racconta nel memoriale, “gettai i pezzi nella pentola, aggiunsi sette chilogrammi di soda caustica, che avevo comprato per fare il sapone, e rimescolai il tutto finché il corpo sezionato si sciolse in una poltiglia scura e vischiosa con la quale riempii alcuni secchi e che vuotai in un vicino pozzo nero. Quanto al sangue del catino, aspettai che si coagulasse, lo feci seccare al forno, lo macinai e lo mescolai con farina, zucchero, cioccolato, latte e uova, oltre a un poco di margarina, impastando il tutto. Feci una grande quantità di pasticcini croccanti e li servii alle signore che venivano in visita, ma ne mangiammo anche Giuseppe e io”.
Il secondo omicidio: Francesca Clementina Soavi
La seconda vittima venne uccisa il 5 settembre 1940. Insegnante d’asilo, la Cianciulli le promise un colloquio come insegnate in un istituto di Piacenza. Per evitare sospetti però la convinse a scrivere delle cartoline ai familiari, per scusarsi dell’assenza, che poi il figlio Giuseppe avrebbe spedito da Piacenza, dove si era recato appositamente. Anche questa volta, dopo averla uccisa rivendette tutti i suoi beni tenendosi i guadagni.
Pare però che in questo caso la vittima fosse particolarmente corpulenta, e che la pentola non riuscisse a contenerla tutta nonostante fosse stata smembrata. La Cianciulli le staccò quindi la testa, che secondo il racconto della domestica fu fatta sparire proprio dal primogenito Giuseppe.
Il terzo omicidio: Virginia Cacioppo
Virginia Cacioppo era un ex-soprano di quasi sessant’anni, che aveva avuto in precedenza un discreto successo. Fu attirata dalla prospettiva di un impiego sotto un impresario teatrale a Firenze, che, secondo la bugia architettata dall’assassina, le avrebbe potuto offrire anche una serie di ingaggi.
Ancora una volta la Cianciulli le fece firmare la delega per i beni e le chiese di non avvisare nessuno, ma la Cacioppo ne parlò con un’amica proprio il giorno della presunta partenza.
Il 30 novembre 1940 anche la Cacioppo venne uccisa, con la solita modalità, e nel memoriale si legge: “Finì nel pentolone, come le altre due (…); ma la sua carne era grassa e bianca: quando fu disciolta vi aggiunsi un flacone di colonia e, dopo una lunga bollitura, ne vennero fuori delle saponette cremose. Le diedi in omaggio a vicine e conoscenti. Anche i dolci furono migliori: quella donna era veramente dolce”.
Il processo
L’amica della Cacioppo, che era anche sua cognata, Albertina Fanti, ne denunciò la scomparsa e le indagini avviate portarono immediatamente alla Cianciulli. Quest’ultima infatti non solo era stata amica di tutte e tre le donne uccise, ma aveva anche usato, per pagare un debito, un buono del tesoro di una delle vittime, che dopo essere passato di mano in mano era finito ad un parroco. Risalendo alla provenienza del denaro, si era arrivati proprio alla Cianciulli.
Gli unici sospettati per i delitti furono la donna e il figlio Giuseppe, che scontò solo una pena di cinque anni di reclusione a causa dell’insufficienza di prove e della madre che si prodigò in ogni modo per provare la sua innocenza.
Durante gli interrogatori, dopo aver finalmente confessato tutti e tre gli omicidi, la Cianciulli dichiarò: “Ebbene, me le sono mangiate le mie amiche, se vuole essere mangiato anche lei, son pronta a divorarla […], le donne scomparse me le ero mangiate una arrosto, una a stufato, una bollita”.
Rivelò anche tutti i dettagli macabri degli omicidi: i corpi venivano distrutti con la soda caustica a trecento gradi, da cui venivano ricavate saponette con l’aggiunta di pece greca e allume di rocca, i resti venivano dispersi in un pozzo e il sangue conservato per farne biscotti e altri cibi. Questi venivano dati da mangiare anche ai figli, per poterli salvare dalla morte.
La Cianciulli sostenne infatti di rifarsi alla tradizione greca della dea Teti, che immergeva i figli nello Stige per renderli immortali.
Fu condannata a trent’anni di carcere, di cui tre da passare in un ospedale psichiatrico, dove alla fine passò tutta la sua vita. Morì infatti nell’istituto per malati mentali di Pozzuoli nel 1970.
Ecco un breve video di Leonarda Cianciulli al Manicomio: