Per favore qualcuno avvisi Di Maio di lasciar perdere la democrazia diretta della giuria popolare di Sanremo, di smetterla di scimmiottare improbabili pasti per restare sulle orme del collega Matteo Salvini, e di sedersi con calma a valutare le percentuali di questi ultimi mesi di governo, che sembrano qualcosa di molto di più di un crisi passeggera come si vorrebbe far credere o come (ci auguriamo di no) potrebbe essere convinto.
Il Movimento 5 Stelle ha perso quasi 200mila voti in pochi mesi in una regione, l’Abruzzo, che il 4 marzo l’aveva visto trionfare (e chissà che anche questa lezione non serva per anche per quelli che pensano di poter nascondere con una buona narrazione ricostruzioni o progetti che stentano a partire).
Qualcuno dica a Di Maio che scimmiottare le posizioni di Salvini per voler partecipare alla grande ammucchiata di destra che sta coinvolgendo tutto il continente non ha nulla a che vedere con la natura del Movimento 5 Stelle, nato per tutt’altro: chi vuole la destra, il protezionismo, la supremazia della patria, non voterà mai la faccia da bravo ragazzo di Di Maio mentre ha di fianco l’originale belva di Salvini.
Lasciare tutto questo spazio a Salvini è stato un errore pazzesco. Il vicepremier, se ci pensate, ha messo bocca praticamente su tutto, assolutamente noncurante del ruolo definito del proprio ministero e atteggiandosi da premier; e ha anche avuto il buon cuore di portarsi con se in gita questi bravi ragazzi del Movimento e tal Giuseppe Conte.
E non si tratta solo del contratto di governo (che è definito e quindi difficilmente modificabile) quanto piuttosto della prontezza, quasi avvoltoia, con cui il viceministro Salvini si butta su qualsiasi polemica, sostituendo il primato del salvinismo al primato della politica.
Non solo il Movimento 5 Stelle è stato praticamente doppiato dal centrodestra, ma addirittura è stato superato dalla galassia di liste di centrosinistra.
Ora è vero che le elezioni regionali hanno una valenza diversa da quelle nazionali, ed è altresì vero che paragonare i risultati di raggruppamenti di liste e listarelle con i risultati di liste uniche diventa piuttosto difficile, ma non vedere il Movimento 5 Stelle in crisi significa essere fuori dalla realtà.
E ora? Al di là del fatto che alcuni parlamentari sembrano voler chiedere a Luigi Di Maio un’assemblea (perché alla fine, come si vede, conta la struttura dove potersi parlare, in un partito) c’è da decidere per quanto tempo si vuole rimanere attaccati a un alleato che non fa altro che erodere voti mese dopo mese.
E anche se oggi Salvini fa la parte del buono (perché sa che non è il momento di rigirare il coltello nella ferita), il fatto stesso che abbia messo subito in agenda la legge sulla legittima difesa (su cui i grillini hanno più di qualche ragionevole dubbio) significa che ogni cosa che uscirà smussata da questo governo verrà addebitata al Movimento 5 Stelle, senza nessuna ombra di dubbio.
Recriminare sul fatto che si sarebbero potute fare altre alleanze (anche se in molti dimenticano che fu proprio Renzi a sorprendere tutti andando da Fazio a comunicare un no che ufficialmente fino a qualche minuto prima era un sì) ora non ha nessun senso.
Il Movimento 5 Stelle deve decidere se consumarsi per amore del potere (ma ne vale la pena?), o se essere protagonista staccando la spina prima di tornare ad essere un piccolo movimento di protesta.
Certo, ci sarebbe una terza via: contenere Salvini. Ma su questo sembra che ci sia molto da lavorare (e una classe dirigente da formare) e soprattutto significherebbe smetterla di parlare del vincitore di Sanremo, ad esempio.