Il caso “Rimborsopoli” che riguarda il Movimento 5 stelle occupa le pagine dei giornali e delle televisioni italiane ed è di fatto il tema più caldo della campagna elettorale che si concluderà con il voto del 4 marzo 2018.
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Tutto è partito da un servizio delle Iene, pubblicato sul sito della trasmissione l’11 febbraio.
La vicenda riguarda la mancata restituzione di una quota dello stipendio da parlamentare da parte di alcuni esponenti pentastellati, somma che sarebbe destinata al Fondo per il microcredito destinato alle imprese, creato dal ministero dello sviluppo economico.
Gli eletti 5 stelle si erano impegnati con i loro elettori a restituire la metà dell’indennità parlamentare, che costituisce una parte dello stipendio.
Proprio il taglio e la restituzione dello stipendio sono stati un cavallo di battaglia dell’attività politica dei 5 stelle, al punto di pubblicare gli estratti dei bonifici versati sul Fondo sul sito tirendiconto.it.
Sul portale, alcuni parlamentari avrebbero pubblicato la fotocopia del bonifico appena effettuato, salvo poi annullarlo entro le 24 ore successive, come è consentito.
Sostanzialmente, si potevano vedere all’interno del sito i dati dei versamenti, ma in realtà i soldi non venivano versati nel Fondo, rimanendo in tasca ai parlamentari.
Tra i nomi emersi dall’inchiesta del programma televisivo, ci sono quelli dell’ex capogruppo alla Camera Andrea Cecconi e del senatore Carlo Martelli, entrambi ricandidati dal M5s alle elezioni del 4 marzo come capolista rispettivamente nelle Marche e in Piemonte.
I due esponenti del Movimento fondato da Beppe Grillo, dopo la pubblicazione del servizio, hanno restituito i soldi mancanti, annunciando che in caso di loro rielezione avrebbero rinunciato all’incarico, facendo subentrare un collega di partito.
Per dare più valore a questa dichiarazione di intenti hanno firmato un atto che li obbligherebbe a dimettersi dopo il voto.
Atto che però non ha alcun valore legale, in quanto è espresso diritto di ogni parlamentare decidere se lasciare l’incarico prima del termine della legislatura.
Sarebbero comunque le Camere a dover dare il via libera alle dimissioni, fattispecie quasi mai verificatasi in precedenza, e che in ogni caso prevede una procedura dai tempi assai lunghi.
Se poi venissero eletti in collegi plurinominali, dopo le dimissioni si dovrebbe procedere comunque a nuove elezioni per entrambi.
Nel frattempo, l’eurodeputato David Borrelli, uno dei tre fondatori della piattaforma Rousseau, che regola il sistema operativo del Movimento, ha deciso di lasciare il gruppo parlamentare a Bruxelles.
“Ora è arrivato per me il momento di cambiare percorso. Nella vita mi sono sempre occupato con grande intensità di imprenditori e risparmiatori. Per questo ho deciso di aderire ad un nuovo progetto: un movimento, che nascerà a breve, e che si occuperà proprio di imprenditori e risparmiatori. Lo devo a loro, lo devo alla mia vita”, ha scritto in un post su Facebook.
Da parte sua, il candidato premier dei 5 stelle, Luigi Di Maio, ha esibito il risultato delle verifiche chieste, dopo lo scoppio del caso, al ministero dell’economia.
Dai controlli del Mef, le restituzioni risultano ammontare per più di 23 milioni di euro, con un ammanco di quasi ottocentomila euro.
Di Maio, dopo aver fatto l’elenco dei parlamentati che hanno restituito più soldi, ha rivelato i nomi di chi non ha rispettato i patti.
Nella lista composta da otto nomi figurano Ivan Della Valle, che non ha restituito 270mila euro, Girolamo Pisano 200mila, Maurizio Buccarella 137 mila, Carlo Martelli 81 mila, Elisa Bulgarelli 43 mila, Andrea Cecconi 28 mila, Silvia Benedetti 23 mila ed Emanuele Cozzolino 13 mila.
Sei di loro sono stati ricandidati e hanno ottime probabilità di essere eletti.
Nel caso non dovessero dimettersi è probabile che resteranno seduti nei banchi del parlamento come membri del gruppo misto, andando fatalmente a rimpinguare un’eventuale prossima maggioranza delle larghe intese.
“Da noi chi fa il furbo viene messo fuori. La credibilità sta nella garanzia che le regole sono sacre”, ha detto Di Maio.
“In un paese normale la notizia è che il Movimento 5 stelle ha restituito 23 milioni di euro di stipendi, e questo è certificato da tutti quanti, e ci sono 7mila imprese che lo testimoniano perché quei soldi hanno fatto partire 7mila imprese e creato 14mila posti di lavoro”, ha detto il candidato premier.
E sui mancati controlli sui rimborsi ha ammesso: “Ho sbagliato a fidarmi dell’essere umano, ma c’è tempo per rimediare, queste persone sono state allontanate”.