All’alba del 25 settembre del 2005, a Ferrara, dopo una violenta colluttazione con quattro agenti di polizia, moriva il 18enne Federico Aldrovandi.
Erano le 6 e mezza del mattino e Federico stava tornando a casa dopo una serata a Bologna con gli amici. Si tratta di uno dei casi di cronaca più discussi e controversi degli ultimi anni in Italia: alla sua tragedia sono seguiti un lungo processo e la condanna definitiva a carico di 4 poliziotti. Una pena di 3 anni e 6 mesi di carcere mai scontata del tutto grazie all’indulto.
(Una canzone dedicata a Federico “Aldro” Aldrovandi e contenuta nel nuovo album “Niente di nuovo sul fronte occidentale” dei Modena City Ramblers).
Quello che si sa è che Federico, durante la serata, aveva fatto uso di alcune sostanze stupefacenti, tra cui ketamina e morfina. Tuttavia, ai testimoni era apparso tranquillo a fine serata, e gli esami tossicologici hanno escluso che la sua morte sia dipesa da queste sostanze.
Le forze dell’ordine sostengono che, al momento dell’intervento, Aldrovandi si comportasse come un “invasato violento in evidente stato di agitazione” e che siano intervenuti dopo “essere stati aggrediti da Federico a colpi di karate e senza un motivo apparente”.
Alle 6 e 10 partì la chiamata a Ferrara Soccorso. Giunto sul posto 5 minuti dopo, il personale dell’ambulanza trovò il ragazzo “riverso a terra, prono con le mani ammanettate dietro la schiena […] era incosciente e non rispondeva”.
Fiumi di inchiostro hanno riempito le pagine di giornali e numerosi brani musicali sono stati composti per ricordare Aldrovandi. Molte sono state le manifestazioni organizzate per riuscire a ottenere risposte chiare. Ma nulla, sin qui, è riuscito a mettere la parola fine a questa vicenda.
Tanto da spingere la madre di Aldrovandi ad aprire un blog personale affidando al web i ricordi di un ragazzo morto in età precoce.
Nel 2006, i 4 agenti intervenuti in via Ippodromo il 25 settembre dell’anno precedente – Enzo Pontani, Luca Pollastri, Monica Segatto e Paolo Forlani – furono iscritti nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio colposo.
Ad aggravarne la posizione, la testimonianza di una residente nella zona teatro dei fatti. La signora raccontò di aver assistito ad alcune fasi della colluttazione e avrebbe dipinto un profilo di responsabilità a carico degli agenti. Nel 2007, il rinvio a giudizio per i poliziotti, a processo per il caso Aldrovandi.
Nel 2009, i quattro poliziotti furono condannati a tre anni e mezzo di carcere per “eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi”. Dopo sei mesi uscirono di prigione, coperti dall’indulto, e dopo un anno tornarono in servizio. Quasi tre anni dopo, la corte di cassazione decise di confermare la condanna.
In un secondo processo, altri tre funzionari di polizia hanno ricevuto condanne per alcuni depistaggi nell’ambito delle prime indagini.
Sul caso si è espresso anche Amnesty International, definendo il processo “un lungo e tormentato percorso di ricerca della verità e della giustizia. Solidarietà e vicinanza ai familiari di Federico Aldrovandi, che in questi anni hanno dovuto fronteggiare assenza di collaborazione da parte delle istituzioni italiane e depistaggi dell’inchiesta”.
Qui il documentario del giornalista e regista italiano Filippo Vendemmiati sulla morte di Federico Aldrovandi, È stato morto un ragazzo (2010):