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    Giulio Regeni, non lasciate che Al-Sisi lo chiami “Uno di noi” 

    A Giulio è stato certamente riservato il trattamento che molti, troppi egiziani subiscono ogni anno, in questo senso è certamente "uno di loro". Ma le parole di Al-Sisi ne offendono la memoria

    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 29 Ago. 2018 alle 19:04 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 21:57

    “La verità su Giulio Regeni va accertata il prima possibile. Al-Sisi mi ha detto: ‘Giulio Regeni è uno di noi’. Credo che visite come queste possano contribuire ad accelerare l’accertamento della verità”. Regeni Di Maio

    Sono le parole del vicepremier e ministro dello Sviluppo economico Luigi di Maio, giunto nella serata di ieri, 28 agosto, al Cairo per la sua visita ufficiale in Egitto, durante la quale ha incontrato anche il presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi

    “Giulio Regeni è uno di noi”, avrebbe dunque asserito Al-Sisi, parlando del ricercatore friulano scomparso al Cairo il 25 gennaio 2016, e il cui corpo venne ritrovato in un fosso alla periferia del capoluogo egiziano il 3 febbraio seguente. Regeni Di Maio

    A Giulio è stato certamente riservato il trattamento che molti, troppi egiziani subiscono ogni anno: sparizioni forzate, violenze, incarcerazioni ingiuste, soprusi, confessioni indotte con il ricatto, prove falsificate. 

    È l’Egitto di Al-Sisi. In questo senso, Giulio è certamente uno di loro.

    Abbiamo forse dimenticato che la campagna delle recenti elezioni presidenziali in Egitto è stata segnata da arresti e sparizioni forzate.

    Molti degli avversari politici dell’attuale presidente Abdel Fattāḥ Al-Sisi si sono ritirati o sono stati imprigionati per favorire la riconferma del presidente uscente.

    Secondo le organizzazioni non governative locali, la media delle sparizioni forzate in Egitto è di 3-4 al giorno. Di solito, agenti dell’Nsa (i servizi segreti egiziani) pesantemente armati fanno irruzione nelle abitazioni private, portano via le persone e le trattengono anche per mesi, spesso ammanettate e bendate per l’intero periodo.

    Secondo un rapporto di Amnesty International, tra il 2013, anno del golpe militare, e il 2014 le forze di sicurezza hanno arrestato quasi 22mila persone. 

    Nel 2015, secondo il ministero dell’Interno, sono finite in manette quasi 12mila ulteriori sospetti. Tra loro studenti, accademici, ingegneri, medici professionisti. 

    Altre centinaia sono detenute in attesa di esecuzione, tra cui l’ex presidente Mohamed Morsi, i suoi sostenitori e i leader dei Fratelli musulmani. In totale quindi ufficialmente i prigionieri politici sono 34mila. Regeni Di Maio

    “Giulio è uno di noi”. E cosa ne è di Amal Fathy, la giovane attivista egiziana, moglie di uno dei legali della famiglia Regeni, rinchiusa dall’11 maggio nel carcere di massima sicurezza di Torah – un enorme complesso carcerario, gestito dalla National Security, noto per essere un luogo di detenzione in cui torture e maltrattamenti sono all’ordine del giorno – solo per aver denunciato le violenze sessuali nel paese?

    La madre di Giulio Regeni ha anche digiunato per la sua liberazione, insieme ai tanti che hanno partecipato al digiuno a staffetta, ma le autorità continuano a rimandare il verdetto di 15 giorni in 15 giorni, come è rimandata la verità su Giulio ad ogni incontro istituzionale.

    Cosa ne è di Islam Khalil, giovane egiziano di 28 anni in carcere da marzo 2018 con accuse pretestuose?

    La famiglia Khalil ha un passato ricco di queste tristi vicende: sia il padre che Nour stesso sono stati arrestati dalle forze governative egiziane con motivazioni spesso inventate e accuse a carico inesistenti.

    Che fine ha fatto Ibrahim Abdel Moneim Metwaly, uno dei consulenti legali egiziani della famiglia Regeni al Cairo, detenuto nel carcere di massima sicurezza di Torah dal 10 settembre 2017?

    Sono centinaia, se non migliaia le storie come quelle di Ibrahim, Islam e Amal, giovanissimi egiziani che hanno perso il diritto alla libertà e che ora soffrono in pessime condizioni di salute per essersi trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato, o anche solo per una frase o un’opinione espressa sui social network, o nelle piazze.

    Dopo l’incontro con Al-Sisi, Di Maio non ha parlato dei dettagli delle indagini ma ha riferito le parole del presidente egiziano sulla vicenda. Parole che offendono la memoria di Giulio e la dignità dei genitori.

    Le agenzie facenti capo al ministero dell’Interno hanno continuato a sottoporre a sparizione forzata e a esecuzione extragiudiziale persone sospettate di essere coinvolte nella violenza di matrice politica.

    Secondo la Commissione egiziana per i diritti e le libertà, tra gennaio e agosto, le forze di sicurezza hanno sottoposto almeno 165 persone a sparizione forzata e violenze, per periodi variabili da sette a 30 giorni.

    Giulio era solo un ricercatore, uno studente che ha pagato con la vita la sua sete di conoscenza, il suo desiderio di far emergere un aspetto della società egiziana.

    Giulio è uno di loro, uno di loro sì, ma degli egiziani migliori, di quelli che ancora si battono per la libertà e la democrazia nel paese. Che non accettano ricatti e che rischiano la vita per i propri ideali.

    Giulio è stato rapito e torturato. Alcuni degli esecutori di quelle violenze sono già stati identificati. Siamo alla vigilia della giornata mondiale Onu delle vittime delle sparizioni forzate, frasi come “Giulio è uno di noi”, dette dal presidente Al-Sisi, sono un’offesa alla sua memoria. 

    La verità per Giulio non ha bisogno di questo, ha bisogno del lavoro convinto dei governi che facciano leva e diano sostegno alle rispettive procure nel loro lavoro.

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