Il 17 aprile si terrà il cosiddetto referendum anti-trivelle (qui di cosa si tratta). Il 15 febbraio 2016, su proposta del Consiglio dei ministri, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha indetto il referendum abrogativo, poi pubblicato sulla Gazzetta ufficiale.
PERCHÈ VOTARE SÌ?
Ce lo spiega Roberta Radich, del Coordinamento nazionale No triv.
“Sono molte le ragioni del SÌ, quelle del NO sono talmente poche che facciamo fatica a trovare qualcuno che si confronti con noi. Le motivazioni sono sia giuridiche, che democratiche, che simbolico-politiche.
Questo è l’unico quesito rimasto sui sei che abbiamo proposto. Per la prima volta le regioni, che sono le proponenti del referendum, hanno accolto l’input dei movimenti. Se vince il SÌ andiamo a stoppare per il futuro la possibilità di estrarre gas e petrolio senza limite.
Questo contravviene anche al diritto europeo perché è contro le leggi sulla libera concorrenza. Intanto, come è stato per il referendum sul nucleare, si tratterà di un SÌ simbolico-politico molto forte: vogliamo dire definitivamente addio alle energie fossili in Italia. Il referendum rappresenta un passo in più verso le energie rinnovabili.
L’Italia sta seguendo una direzione antistorica, disincentivando le rinnovabili, al contrario di altri paesi evoluti come la Germania. L’Italia in maniera incomprensibile sta dando 15 miliardi di incentivi diretti e indiretti alle fossili. Un aspetto non da meno è la valenza squisitamente democratica: un presidente del Consiglio che invita a non andare alle urne io lo definisco eversivo.
Questo invito all’astensione mina le basi di una democrazia e della democrazia diretta in particolare, ed è drammatico. Recarsi alle urne al di là del SÌ o del NO è importante. Controbattendo a chi dice che se vincesse il SÌ si taglierebbero tanti posti di lavoro, noi diciamo che al contrario, investendo sulle rinnovabili, se ne verrebbero a creare di nuovi.
E comunque il referendum prevede che le concessioni arrivino fino al loro termine, non verrebbero interrotte prima. Inoltre si salverebbero quelli del comparto della pesca e del turismo, messi a rischio dalle trivelle, che, checché se ne dica, inquinano.
Con un investimento sulle energie rinnovabili di un milione di euro, si creerebbero 17mila posti di lavoro, e si farebbe del bene al clima del paese e alla salute dei cittadini. Per quanto riguarda le royalties inoltre, il petrolio italiano non è veramente italiano, ma appartiene alle compagnie petrolifere, che pagano all’Italia delle royalties bassissime, di conseguenza si tratta di un vero esproprio di un bene pubblico.
Non è vero inoltre che non estraendo petrolio dobbiamo dipendere dall’estero, perché comunque vi dipendiamo lo stesso dal momento che il petrolio e il gas estratti entro le 12 miglia rappresentano rispettivamente l’1 e il 2 per cento del fabbisogno. Solo progredendo con le energie rinnovabili verrà diminuita la dipendenza dall’energia estera.
Sono sicura che vincerà il SÌ in termini di voti, ma purtroppo non credo che verrà raggiunto il quorum dal momento che il referendum non è stato inserito nell’Election day delle amministrative del 5 giugno. Purtroppo la campagna è stata brevissima, la più breve della storia d’Italia, e non avevamo alcun finanziamento.
Ma nonostante questo e nonostante la disinformazione mainstream (in particolare quella televisiva), sono positiva dal momento che gli italiani hanno un’anima sensibile ai temi ambientali. La parte più avanzata dell’Italia è per il SÌ, ne sono certa”.
COSA C’È DA SAPERE SUL REFERENDUM – Il referendum del prossimo 17 aprile è stato promosso da nove regioni italiane contro i progetti petroliferi del governo: Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise. Inizialmente erano dieci, poi l’Abruzzo si è tirato indietro. La Costituzione italiana prevede infatti che un referendum possa essere indetto su richiesta di almeno 5 consigli regionali. È la prima volta nella storia repubblicana che questa possibilità viene messa in atto.
Il quesito referendario recita: “Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?”. Sono materia di referendum solo le trivellazioni già in atto entro le 12 miglia dalla costa.
L’attuale legge in materia, il decreto legislativo 152 del 2006, il cosiddetto codice dell’ambiente, all’articolo 6, comma 17 stabilisce che “ai fini di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, all’interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtù di leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni internazionali sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare”.
Il quesito propone di abrogare una frase dell’articolo che recita: “I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”, che permette di continuare a sfruttare il giacimento finché ci sarà gas o petrolio e non finché scadrà la concessione.
Secondo l’articolo 75 della Costituzione, la proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. È necessario quindi un quorum per renderlo valido e la coincidenza con le elezioni amministrative avrebbe certamente reso questo obiettivo più facile.
Se vincerà il SÌ non sarà possibile continuare a sfruttare i giacimenti petroliferi dopo la scadenza delle concessioni entro le 12 miglia. Tale disposizione in ogni caso non si applicherebbe alle trivellazioni sulla terraferma e a quelle che si trovano oltre le 12 miglia. Se vincerà il NO nessuna frase della legge verrà abrogata e tutto rimarrà com’è.
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