Sabato 6 e domenica 7 ottobre i cittadini della Romania sono stati chiamati alle urne per un referendum che mirava a modificare la Costituzione e a restringere la definizione di famiglia al matrimonio tra un uomo e una donna. In questo modo si sarebbe resa più difficile la legalizzazione dei matrimoni gay.
A differenza di quanto previsto dai sondaggi, solo il 20,4 per cento degli aventi diritto si sono presentati alle urne, non riuscendo così a raggiungere il quorum necessario.
Per essere valido, almeno il 30 per cento degli aventi diritto avrebbe dovuto partecipare al referendum.
La modifica della Costituzione è stata appoggiata dal Partito socialdemocratico, di centrosinistra e attualmente al governo, nonché dalla Chiesa ortodossa e dalla Coalizione per la famiglia, un’organizzazione a cui hanno aderito più di 40 gruppi religiosi e conservatori.
In Romania, l’80 per cento della popolazione è formata da cristiani ortodossi.
Quasi tutte le forze politiche del paese hanno appoggiato la proposta referendaria, tranne il partito Unione salva Romania: creato nel 2015, si pone l’obiettivo di combattere la corruzione e conta tra i suoi membri sia parlamentari progressisti che conservatori, tra cui il presidente rumeno Klaus Iohannis.
Le associazioni LGBT locali e diverse Ong si sono espresse contro il referendum, denunciando la proposta del governo come un’ulteriore prova del carattere conservatore del paese.
In Romania infatti la Chiesa ortodossa esercita una forte influenza che si riflette anche in ambito politico, oltre che sociale.
Secondo le opposizioni, l’intento del governo è quello di distrarre l’opinione pubblica dai crescenti problemi di corruzione che i partiti rumeni al comando stanno affrontando.
Ad agosto, nella notte tre il 10 e l’11, si sono registrati diversi scontri tra la polizia e decine di migliaia di manifestanti anti-governativi in tutta la Romania.
I manifestanti hanno che le dimissioni del governo a guida socialista, accusato di aver cercato di indebolire il potere giudiziario, e si sono scagliati contro i salari bassi e la corruzione radicata nel paese.
Le ultime manifestazioni hanno visto un’importante coinvolgimento della popolazione rumena residente all’estero e tornata nel paese per protestare contro il governo.