Il referendum del prossimo 17 aprile, il referendum definito no trivelle, è stato caratterizzato da una campagna di comunicazione social molto aggressiva da parte dei sostenitori del SÌ.
Una campagna che è iniziata a febbraio e che nella prima fase si è incentrata sul voler far credere che in Italia ci sarebbe stato un referendum di cui i cittadini sarebbero rimasti all’oscuro.
Una notizia tecnicamente sbagliata, considerando che il referendum è stato indetto il 15 febbraio dopo il normale iter di verifica e ammissibilità.
Nonostante ciò, il 16 febbraio sui social si diffondevano migliaia di post che accusavano il governo di censura e invitavano alla condivisione della notizia.
La notizia non era solo quella naturalmente. La vera notizia era che il nostro mare è in pericolo. Centinaia di trivelle scavano ogni giorno il fondo del mare per andare a cercare nuovi giacimenti di petrolio mettendo a rischio le nostre coste e la nostra fauna, notizie accompagnate da fotografie di uccelli soffocati nel petrolio e pesci morti sulle coste.
Un’altra notizia – quest’ultima – ancora una volta tecnicamente sbagliata, considerando che questo referendum non riguarda in alcun modo le attività di trivellazione ma le attività di estrazione e le relative concessioni a estrarre.
Un referendum che spinge dunque, nell’estrema semplicità comunicativa con il quale è stato proposto, a schierarsi contro le trivelle e a recarsi al voto per esprimere il proprio SÌ (per dire no alle trivelle).
Uno schema semplice ed efficace: gli ambientalisti difensori dell’oro blu contro le grandi aziende petrolifere con l’interesse dell’oro nero.
Se si va oltre gli slogan e si entra nel campo dei numeri e dei fatti, ci si rende conto che la strategia comunicativa adottata dai sostenitori del SÌ sia decisamente spropositata rispetto al pericolo reale delle piattaforme in mare, e che in larga misura ometta il centro reale della questione.
Si ha l’impressione infatti che questo referendum, per la prima volta promosso da alcuni Consigli regionali e non da una petizione popolare di massa, voglia essere utilizzato da una parte come clava delle opposizioni contro il governo e dall’altra come segnale di esistenza delle associazioni ambientaliste internazionali, che in diversi video spot hanno talmente semplificato la questione da cadere in errore.
Siamo tutti d’accordo: l’Italia deve abbandonare sempre più i combustibili fossili e promuovere le energie rinnovabili. Continuare a estrarre petrolio non è la strada giusta, ma siamo certi che la strada giusta sia convincere i cittadini che il fondale del nostro mare venga trivellato quotidianamente quando in realtà non è così?
— DI COSA PARLIAMO? IL REFERENDUM SULLE TRIVELLE RACCONTATO SENZA GIRI DI PAROLE
— ECCO PERCHÉ VOTARE SÌ AL REFERENDUM SULLE TRIVELLE. Lo spiega a TPI Roberta Radich, del Coordinamento nazionale No triv