Non sono stati ascoltati. Il decreto sul Reddito di Cittadinanza gli è arrivato tra capo e collo. E ora rischiano di pagarne le conseguenze. Parliamo dei comuni. Per tutti, dalla politica alla stampa, la questione dell’applicazione della misura simbolo del Movimento 5 stelle è stata confinata allo scontro tra governo e regioni.
Il tema dei Centri per l’impiego è stato ampiamente sviscerato: le assunzioni che non arriveranno prima di 6-8 mesi, le strutture inadeguate a ospitare i navigator, il ruolo che avrà Anpal (con il suo esercito di precari) nella partita. Ma il caos finale, quello che sarà visibile a tutti quando il Reddito di Cittadinanza entrerà a regime, sarà nei comuni.
L’ente locale per eccellenza è stato infatti depredato dell’importante ruolo che aveva, ad esempio, con il Rei: quello di primo accesso per i beneficiari. Ora da “front office” per gestire – semplificando – la povertà avranno il compito di trovare un “impiego sociale” a tutti coloro che, ottenuto il Reddito di Cittadinanza, saranno considerati non idonei a siglare il Patto per il Lavoro.
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Parliamo, secondo le stime fatte dal governo e ribadite da Pasquale Tridico, l’ideatore del reddito M5s, in una lettera al Corriere della Sera, di una platea potenziale di 3,8 milioni di persone. Più del triplo, per intenderci, dei beneficiari del Rei.
Il Reddito di Cittadinanza, semplificando al massimo, funzionerà così: l’Inps individuerà la platea dei beneficiari su dei criteri predefiniti e, tramite le Poste, doterà ogni utente di un conto corrente. Quindi lo “Stato” manderà a casa il famoso bancomat.
Poi la palla passerà ai Centri per l’Impiego: saranno loro il nuovo primo accesso, al posto dei comuni, per i beneficiari del reddito. Ed è qui che verrà effettuata la scrematura tra chi – occupabile – firmerà il Patto per il lavoro e chi – non occupabile – sarà mandato in comune per la firma del Patto per l’inclusione sociale.
Numeri: circa un milione, scrive Tridico, quelli che finiranno tecnicamente sul mercato del lavoro; i restanti 3,8 milioni, per deduzione, che dovranno recarsi in comune per avviare progetti di inclusione sociale.
Ed è a partire da questi numeri che l’Associazione nazionale comuni italiani (Anci) suona l’allarme. TPI ha intervistato sulla questione il delegato al Welfare e sindaco di Reggio Emilia, Luca Vecchi, che ha denunciato come “questo manderà in tilt i comuni”.
Il motivo: “Al beneficiario del reddito che non sarà ritenuto idoneo a firmare il Patto per il lavoro verrà chiesto di accettare quello per l’inclusione, pena la perdita del beneficio. Ma questo significa, soprattutto nelle grandi città, che i comuni dovranno creare progetti socialmente utili per decine di migliaia di persone. E ogni progetto significa idearlo, stipulare assicurazioni, avviare percorsi di formazione. Sono percorsi lunghi e complicati”.
E il tutto “in una situazione in cui ai comuni non è stato destinato un solo euro di stanziamenti nel decreto per il reddito. E davanti a noi ci sono amministrazioni, penso a Napoli, che non possono assumere e con i conti bloccati. Figuriamoci se riusciranno ad avviare progetti per 60, 70mila persone che in pochi mesi si recheranno a firmare il Patto per l’inclusione”.
Ci vorranno mesi. “Forse ci vorrebbero anni”. Il risultato? “Il reddito di cittadinanza ha una scadenza: 18 mesi. Quello che prevediamo è semplice: nei comuni più grandi, Napoli, Bari, Palermo, decine di migliaia di persone resteranno ad attendere, invano, l’attivazione di un progetto di inclusione. Passeranno i 18 mesi e perderanno il beneficio, dovendo così, di fatto, ripartire da zero”.
Per mettere in piedi questo strumento in tempo utile “per le elezioni europee”, come denuncia a TPI il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, “hanno deciso di affrontare la povertà nel modo più sbagliato, considerandola come dovuta all’assenza di lavoro” continua Luca Vecchi. “Ma la povertà è un ‘bisogno complesso’ che solo i comuni possono affrontare, non certo i Centri per l’impiego o un esercito di navigator”.
Ma i comuni sono stati messi in un angolo: “Siamo stati ricevuti dalla struttura tecnica del governo solo due volte” e “una a decreto già sul tavolo. Abbiamo rappresentato le nostre preoccupazioni e la cosa è finita lì”. Eppure “abbiamo chiaramente spiegato come solo da pochi mesi siamo riusciti a rendere operativo il Rei (a un anno dall’entrata in vigore, ndr) e ora siamo di nuovo stati messi ai margini di un disegno calato dall’alto e che punta tutto su misure lavoriste, quando la vera necessità sono politiche di inclusione sociale e di contrasto alla povertà”.
“Mancano solo due mesi al via alle richieste per il Reddito di Cittadinanza e ancora siamo al decreto”. I comuni, “che con il Rei avevano avviato dei percorsi con migliaia di famiglie”, dovranno ripartire da zero, affrontando, “senza finanziamenti”, una platea tre, quattro volte maggiore. Complessità enormi da gestire “che, a oggi, nessuno del governo ha preso nemmeno in considerazione”.
Per Vecchi, a nome dell’Anci, “è la prova che si sta perdendo l’occasione per aggredire in maniera strutturale la povertà e che, per l’ennesima volta, si è scelto di gestire a livello centrale questioni complesse, i bisogni reali delle famiglie, che solo gli enti di prossimità possono provare ad affrontare con qualche speranza di successo”.