Ad Anna il marito dà 30 euro a settimana con cui campare una famiglia con tre figli, ad Alice il marito ha intestato il mutuo della casa. A Sabrina, invece, il compagno ha intestato addirittura l’azienda, ma è la seconda: lui la usa a sua insaputa per compiere operazioni che facciano quadrare i conti della prima, quella principale e, intanto, lei si è indebitata fino al collo. Anna, Alice, Sabrina sono tutte donne vittime di violenza economica, vittime di uomini che le hanno illuse e schiacciate.
“Ci hanno chiamate perché si sono rese conto di essere vittime non solo di violenza psicologica, ma anche di quella economica”. A raccontare le loro storie è Simona Lanzoni, responsabile programmi di Reama – Rete per l’empowerment e l’auto mutuo aiuto, che nasce dall’impegno di Fondazione Pangea Onlus e si sforza di mettere assieme le tante realtà che negli anni hanno collaborato in sinergia per la prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne.
In un palazzo dalle pareti spesse che affaccia sulla colorata Piazza Vittorio a Roma, Simona ci fa entrare nel cuore di Reama. La rete trova accoglienza nella sede della Casa dei diritti. La luce entra tiepida dalle finestre alte, nella stanza luminosa di Reama si respira un’aria diversa. È l’aria del riscatto.
“Quello che facciamo è accompagnare le donne in un percorso che le aiuti a uscire dalla violenza, grazie a professioniste, centri antiviolenza e associazioni. Le donne si rivolgono a noi attraverso gli sportelli online o grazie alle antenne, donne che hanno subito violenza in passato e oggi cercano di aiutare le altre”, spiega Simona.
“Le donne si accorgono della violenza soprattutto quando è fisica. Quella economica la vedono poco, la vedono dopo, e quasi sempre è accompagnata dalla violenza psicologica”, racconta ancora Simona. Nessun livido sulla pelle: i segni si vedono nei portafogli e sui conti bancari.
Due sono gli strumenti principali di cui si serve Reama: lo Sportello Antiviolenza online e Mia Economia – Sportello sulla violenza economica. L’idea è quella di aiutare le donne ad aiutarsi: “È necessario che venga da loro, che ci sia la volontà di uscirne”. Per questo Reama, attraverso Mia Economia, aiuta le donne con problemi economici senza prestare né concedere denaro, ma analizzando la situazione debitoria in cui le donne versano e cercando una strada per uscirne.
In alcuni casi Reama si spinge oltre, attivando il servizio di microimpresa. Così la rete aiuta le donne a crearsi un futuro. “Le aiutiamo ad avviare un’impresa, quando sanno dar vita a un modello di impresa e a un business plan, dopo aver superato una serie di step, la aiutiamo con il microcredito”, spiega.
“È la questione di un’autodeterminazione che passa per forza di cose attraverso la questione economica”, spiega ancora Simona. Il denaro diventa un’arma per imporre il controllo e detenere il potere nella relazione da parte dell’uomo. La donna il più delle volte non riconosce di essere di fatto soggiogata perché dà per acquisiti certi meccanismi che la vedono soggetto debole nella coppia, automaticamente anche in materia economica. Per questo la possibilità di avviare un’attività propria significa per le donne autodeterminarsi, liberarsi dall’oppressione, economica e psicologica: “Il riconoscimento della violenza economica arriva soltanto nel momento in cui si guadagna autonomia”.
Questo tipo di violenza trova il suo humus naturale in un mondo in cui le donne, storicamente, sono connesse in maniera malata al denaro. “Nelle relazioni di coppia le donne sono state oggetto di mercificazione, di scambio. Basti pensare a quei matrimoni che venivano fatti per interesse e non per amore. L’autonomia economica delle donne è qualcosa di nuovo nella storia, ma questo non vuol dire amare di meno una persona. È qualcosa che ha a che fare col fatto che le donne per secoli non sono state autonome e ora possono scegliere con chi dividere la loro vita, senza dover dipendere economicamente da qualcuno. E quella della dipendenza dell’amore e dei soldi è un filo che torna e che non è stato ancora elaborato in maniera massiva”.
Quando le donne prendono coscienza della violenza economica, sentono forte la voglia di riscatto: “Si sentono in credito verso la vita. È come se, di fronte alle privazioni subite, sentissero di dover essere risarcite in qualche modo. Come se la loro vita andasse ribilanciata. Il punto vero, però, è che siamo noi donne a dover reagire, senza la volontà non si fa niente”.
I dati parlano dell’1,2 per cento massimo di donne vittime di violenza economica. Un numero, però, che non calcola la violenza sommersa, quella che non viene a galla, quelle delle donne che non la denunciano e, soprattutto, quella delle donne che non la riconoscono. “C’è un livello di ‘non riconosciuto’, che è ancora precedente a quello della non denuncia”, specifica ancora Simona. Per le donne è più difficile trovare lavoro e inserirsi ‘economicamente’ nella società. Questo comporta che con più facilità si ritrovano a casa, soggette al potere economico dell’uomo, senza nemmeno accorgersene, dando per scontato che quella situazione sia la normalità.
Ma Pangea non guarda solo alle donne, si preoccupa anche dei figli. Piccoli ospiti è il progetto che si occupa di recuperare la relazione madre-figli quando entrambi sono stati vittime di violenza: violenza fisica o psicologica subita madre, violenza assistita subita dai figli, che sono “parte” di quella violenza.
“I bambini che assistono a queste situazioni di violenza, le assorbono e imparano a vedere in quel modello violento quello di riferimento”. C’è un effetto domino sulle loro vite assolutamente negativo, che si sviluppa nel tempo e può investire diversi ambiti delle loro vite: “Avranno difficoltà negli studi a scuola, nelle relazioni con gli amici e con gli insegnanti, che poi diventano le relazioni a lavoro e nell’affettività. Hanno, non sempre, ma spesso, una fragilità maggiore che risentono nella loro vita”, precisa Simona.
La rete cresce e il 6 marzo prossimo si ritrova a Roma, alle 11, presso la Casa Internazionale delle Donne, dove presentano i frutti del loro lavoro. Oltre 70 realtà aderenti tra associazioni, gruppi di auto mutuo aiuto, centri antiviolenza, case rifugio, professioniste, donne uscite dalla violenza e superstiti di femminicidio, che vanno a comporre una fitta Rete di “antenne” in tutta Italia per far conoscere e applicare la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica.
E, infatti, se il primo obiettivo di Reama è quello di creare un coordinamento nazionale di “antenne” – formato da Centri antiviolenza e Case Rifugio, donne sopravvissute alla violenza che possano aiutare le altre donne attraverso il loro vissuto, ma anche professioniste – per migliorare il lavoro di orientamento e accompagnamento, sostegno e supporto delle donne e dei loro bambini nel percorso di uscita dalla violenza e dalla violenza economica a partire dalla pratica e dalla relazione tra le donne, il secondo è proprio quello incentrato sulla sensibilizzazione alla Convenzione di Istanbul.
“Facciamo un lavoro con le istituzioni per spingerle a implementare la convenzione. Ogni Stato, secondo l’articolo 5, deve mettere in campo tutti i mezzi possibili per far fronte alla violenza. Quindi Reama diventa un modo per richiamare lo Stato prima di tutto a conoscere la Convenzione – ancora poco conosciuta – e poi, soprattutto, a metterla in pratica”.
Reama è qualcosa di assolutamente originale nel panorama del contrasto alla violenza contro le donne. In un momento in cui le vittorie sui diritti umani sembrano essere sempre più a rischio, Reama sceglie la strada dell’unione: mette insieme le forze e le esperienze e crea una rete che aspira a essere sempre più capillare sul territorio nazionale, sempre più efficace, sempre più giusta. Le professionalità si mescolano senza perdere la propria specificità nella convinzione che insieme si fa di più, si fa meglio.
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