“Ho perso mio figlio all’ottava settimana e tutt’oggi lo porto ancora in grembo perché chi si occupa del raschiamento lo fa solo il lunedì, e giovedì, cioè le passate Pasquetta e 25 aprile, e io sto ancora in queste condizioni.
Sono 16 giorni che la creatura è venuta a mancare e devo aspettare lunedì… Non basta già il dolore di una mamma ma anche l’agonia. È uno schifo”.
Sono poche parole e arrivano in pancia come una coltellata. Raccontano il dolore, la sofferenza, la beffa, l’indifferenza, la mediocrità e infine il pasticcio della sanità italiana, che tante volte dà, ma molte altre toglie.
Silvia, una 40enne donna di Roma, resta incinta e lascia il lavoro troppo pesante in una piattaforma logistica romana. Ma dopo un controllo scopre che ha avuto un aborto spontaneo, risalente alla settimana precedente, e per il raschiamento deve attendere il lungo ponte festivo perché i giorni disponibili sono il lunedì e il giovedì, rispettivamente Pasquetta e 25 aprile.
Questo avviene in un noto ospedale romano, ma è solo lo specchio di un problema diffuso che riguarda il sistema sanitario nazionale.
“Esprimiamo sdegno e rabbia – dichiara Francesco Iacovone, del Cobas nazionale – mentre i dibattiti tv ci distraggono convincendoci della necessità di lavorare la domenica e i festivi, la sanità è allo sfascio e per un raschiamento si aspetta la fine del ponte Pasquale”.
“Ho sentito Silvia in queste ore – prosegue il rappresentante sindacale – e ho percepito quanto il suo stato emotivo sia messo a dura prova. Quanto accaduto non è certo da Paese civile”.
Iacovone sottolinea infatti come ci sia una disparità di funzionamento tra settori e come troppo spesso si conducano battaglie in nome del libero mercato, degli interessi dell’economia, ma non di funzioni importanti e vitali quali la sanità.
“Mentre il commercio e la logistica funzionano h24 sette giorni a settimana, la sanità viene progressivamente smantellata a danno di tutti i cittadini, l’attenzione viene spostata sul falso diritto al consumo. Al centro del dibattito di questo Paese deve essere rimessa l’efficienza e la stringente necessità di servizi pubblici essenziali, ormai destrutturati un governo dopo l’altro”, conclude Iacovone.
E la situazione per la sanità è destinata a peggiorare.
Secondo le proiezioni dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni italiane (basate sui dati del ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – Miur e del ministero della Salute) dei 56 mila medici che il Servizio Sanitario Nazionale (Ssn) perderà nei prossimi 15 anni saranno sostituiti solo il 75 per cento, cioè 42 mila.
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Un problema che non potrà essere sanato dalle future generazioni di dottori. Dalle proiezioni effettuate dai ricercatori dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni Italiane, che fa parte di Vithali, nell’ipotesi che nel prossimo anno accademico 2019/2020 siano immatricolati 10 mila studenti, si può prevedere che di questi circa 8 mila e 700 saranno laureati tra 6 anni, considerando poi i gruppi successivi, in 10 anni in Italia ci saranno circa 49 mila nuovi laureati in medicina e chirurgia.
In base a queste proiezioni, è possibile prevedere che gli specializzati tra 15 anni saranno circa 42 mila.
Una diretta conseguenza della carenza di lavoratori nei reparti ospedalieri (dunque non solo di medici, ma anche di infermieri e pesonale specializzato) è la ricaduta in termini di condizioni di lavoro.
Le associazioni denunciano situazioni sempre più drammatiche nei servizi territoriali per via della difficoltà nel coprire tutte le esigenze del settore. E per risolvere la situazione i medici fanno richieste specifiche. A cominciare dallo sblocco del turnover, introdotto dalla Legge n. 296 del 2006 con il vincolo della spesa per il personale sanitario, che ha impedito di sostituire i medici pensionati con nuovi assunti. Una misura che secondo l’Associazione medici dirigenti (ANAAO Assomed) ha portato oggi alla carenza di circa 10mila medici.
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