Gli insulti, le minacce e poi il licenziamento. La colpa del dipendente? È omosessuale. La storia arriva da Piacenza e a denunciarla sono l’Arcigay “L’Atomo” e Telefono Rosa. Un ragazzo di 28 anni, appena assunto da una nota azienda locale attraverso un’agenzia interinale, ha subito per un mese le aggressioni verbali del tutor incaricato di insegnargli il mestiere. Poi la marginalizzazione e il licenziamento.
“Se è vero che sei gay ti investo con il muletto”. È solo una delle frasi rivolte al ragazzo che il tutor non si è preoccupato di rivolgergli in presenza di testimoni. Un atteggiamento persecutorio, esplicitamente riferito al suo orientamento sessuale, iniziato nel settembre 2018 appena assunto e proseguito fino al suo allontanamento il mese successivo.
“È assolutamente grave e sconfortante – ha commentato Gabriele Piazzoni, segretario nazionale Arcigay – che in un luogo di lavoro, nel quale esistono precise norme contro le discriminazioni per orientamento sessuale, una persona debba subire questi episodi persecutori, solo perché omosessuale”.
Ma Piazzoni suona un campanello d’allarme: attenzione perché questa vicenda non è un caso isolato. “Non parliamo di un’eccezione, di eccezionale in questa vicenda c’è solo il coraggio del ragazzo che anziché subire e vergognarsi ha deciso di denunciare pubblicamente l’accaduto”.
“Di solito, l’evidente condizione di disparità alla quale sono sottoposti i lavoratori, li costringe al silenzio, a sopportare gli insulti pur di mantenere il posto di lavoro”.
“Chiediamo anche al ministro del Lavoro, il vicepremier Luigi Di Maio, di non trattare l’occupazione come una questione aritmetica, in cui contano solo i numeri”.
“Il lavoro che umilia non è lavoro: questo paese ha bisogno non solo di occupazione ma di buona occupazione, di luoghi di lavoro dignitosi e non violenti, in cui le persone lgbti non siano costrette a rendersi invisibili o peggio ancora a rinunciare alla propria occupazione. Il lavoro dovrebbe dare dignità, non toglierla”.
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