“Mi chiedo che cosa abbiano di diverso i bambini thailandesi bloccati da giorni nelle grotte rispetto ai piccoli migranti che vagano nei gommoni nel Mediterraneo, in attesa anch’essi di essere salvati”.
Sulle pagine del quotidiano Repubblica, Alberto Zanobini, direttore generale dell’ospedale pediatrico Meyer, ha scritto una lettera in cui fa un parallelo amaro tra la vicenda dei ragazzi salvati dalla grotta in Thailandia e l’atteggiamento di molti italiani nei confronti di profughi e migranti.
Perché, si chiede Zanobini, quei meccanismi di maternità e paternità, quell’umana compassione che prende tutti nel caso della Thailandia, non si attiva anche per la tragedia quotidiana di persone che affrontano viaggi della speranza per fuggire da guerre, povertà e persecuzioni?
“Non siamo forse padri e madri anche dei piccoli africani in fuga e disperatamente in cerca di accoglienza allo stesso modo dei giovani thailandesi la cui vicenda da giorni ha mobilitato tutto il mondo per il loro salvataggio?”.
In molti hanno notato quanto stridesse il pathos nei confronti del gruppo di ragazzi in Thailandia con l’indifferenza e il cinismo che spesso accompagnano la narrazione quotidiana su profughi e migranti.
La risposta, in qualche modo, la fornisce lo stesso direttore generale dell’ospedale. Forse è la lontananza della vicenda thailandese da casa nostra a toglierle quell’aura di minaccia che invece molti avvertono nei confronti dei migranti che approdano sulle nostre coste.
“Forse perché in questo ultimo caso all’uscita del tunnel una casa lontana che non è la nostra li accoglierà? Madri e padri che in ansia li aspettano li riabbracceranno e dunque non coinvolgeranno da vicino le nostre vite e le nostre case”.
Per Zanonini, “come umani dovremmo sapere ricercare nel profondo di noi stessi i sentimenti di paternità e maternità per ogni piccola creatura sofferente nel pianeta, anche se questa è più vicina e per questo apparentemente più minacciosa”.