Le acque del Veneto sono avvelenate. E questo veleno costa caro al territorio: per la precisione 136,8 milioni di euro di danno nelle tre province di Vicenza, Verona e Padova.
Dati pesanti. È il ministro dell’Ambiente Sergio Costa a comunicare i dati dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) durante la Commissione bicamerale Ecomafie. Il ministero si costituirà parte civile nel procedimento a carico dell’azienda Miteni spa, come annunciato dal ministro Costa.
Cosa sono i Pfas. Pfas è l’acronomico di acidi perfluoroacrilici, acidi di origine industriale altamente tossici che hanno contaminato le acque del Veneto. Il dramma, che colpisce ogni giorno 350 mila famiglie, ha portato alla mobilitazione di 30 “mamme no Pfas” le quali si sono appellate a tutti i ministri UE dell’Ambiente.
Non solo danni economici. Anche gli alimenti sono avvelenati: è stato infatti vietato il consumo di pesce proveniente da molti comuni del Veneto. Una recente ordinanza della Regione Veneto vieta fino al 30 giugno 2019 il consumo di prodotti ittici pescati nella zona definita ‘rossa’ che comprende 30 comuni.
L’azienda ha chiuso i battenti. La Miteni spa, l’azienda che aveva emesso gli acidi Pfas nel territorio, ha chiuso l’attività lo scorso 26 ottobre, dopo aver presentato istanza di fallimento. La società ha assicurato di aver messo l’azienda sul mercato, ma i rischi di richiesta risarcimenti potrebbero scoraggiare eventuali acquirenti.
Paura di risarcimenti. Lo scorso settembre Greenpeace aveva reso pubblica una ricerca che, indagando sull’assetto societario di Miteni, aveva scoperto che alla fine del 2016 il gruppo di controllo, pur avendo in cassa 239 milioni di euro, ne aveva accantonato per eventuali risarcimenti solo 6,5 milioni.
Nuovi inquinanti. Nell’area inquinata del Nord-Est da tempo però la Miteni ha smesso di essere l’inquinatore più forte: ora sono le concerie ad usare il prodotto chimico Pfas nella lavorazione delle pelli.