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Terrorismo, il pm Dambruoso a TPI: “Vi spiego qual è il vero pericolo in Italia”

Le ultime notizie su un possibile esercito di kamikaze pronto ad attaccare l'Italia riaccendono l'attenzione sul tema del terrorismo. TPI ne ha parlato con Stefano Dambruoso, magistrato ed ex parlamentare, specializzato nella lotta al terrorismo

Di Lara Tomasetta
Pubblicato il 9 Gen. 2019 alle 17:11 Aggiornato il 9 Gen. 2019 alle 18:45

“Rischiate un esercito di kamikaze in Italia”: così un pentito della jihad, detenuto a Genova, ha svelato i segreti dell’ultima organizzazione specializzata in viaggi veloci verso la Sicilia che si occupava di traffico di esseri umani.

“Ritengo che alcuni terroristi possano giungere in Italia con il loro aiuto”, aveva detto il jihadista pentito riferendosi al capo dell’organizzazione.

La notizia è delle ultime ore e riaccende l’attenzione sul pericolo terrorismo in Italia: da dove viene, da chi è rappresentato e quali sono le sue dinamiche? TPI lo ha chiesto a Stefano Dambruoso, magistrato ed ex parlamentare, specializzato nella lotta al terrorismo, ha svolto indagini su reati commessi da gruppi terroristici islamici di origine algerina, tunisina, egiziana.

Ci può tracciare un quadro della minaccia terroristica in Italia? Si può parlare di reti terroristiche o dobbiamo concentrarci sui lupi solitari?

Oggi sono convinto che le reti o le strutture organizzate in Italia non ci siano, o siano soltanto degli epigoni di gruppi già sorti all’epoca del qaedismo e che in qualche modo sono rimasti legati all’attività di tipo terroristico islamista religioso, per cui quel tipo di strutture non sono organizzate e comunque sono state smantellate.

Ritengo che nel nostro territorio – in virtù di un’assenza di una forte attrattiva legata al brand Isis o Daesh (anche’esso smantellato), e che rappresentavano una sorta di attrazione per gruppi o persone che si sentivano uniti da quel brand – quel tipo di aggregabilità sia molto attenuata.

Il pericolo reale, il rischio prevalente sembra quello dei cosiddetti lupi solitari, non meno inquietante per la vita quotidiana dei cittadini.

Rispetto a questi combattenti, l’italia si colloca ancora come terra di transito o come terra di permanenza?

Per i lupi solitari evidentemente parlare di transito è improprio, parliamo di soggetti che sono da tempo residenti in un territorio, a volte hanno la cittadinanza, in molti casi di paesi europei. Il fenomeno dei cittadini residenti che si radicalizzano e di quelli che ritornano dalla Siria, ossia il fenomeno del reducismo, è un fenomeno inquietante che fortunatamente nel nostro Paese non ha.

Da noi i numeri dei radicalizzati e convertiti italiani sono più bassi e i soggetti non hanno fatto una rete, e sono legati esclusivamente dalla pericolosità: per gli operatori della sicurezza, come intelligence, polizia e magistratura, ognuno di loro è un pericolo concreto.

Di fronte al singolo che ha un proprio progetto incontrollabile – perché legato a disagi personali o psicologici – non è possibile sperimentare alcun tipo di indagine preventiva.

Bari, Foggia, Genova, Roma, Napoli: quali sono le città preferite da “presunti terroristi” e come si combattono le infiltrazioni? Ci sono città o territori più vulnerabili?

Ci sono dei territori dove c’è un tessuto della comunità musulmana – che è sempre meglio ricordarlo, non sono tutti terroristi – che è più numerosa e quindi dove le possibilità che un maggior numero di soggetti ritenuti potenzialmente pericolosi hanno maggiori possibilità di essere ospitati, anche se di passaggio, o dove è possibile che maturi una radicalizzazione terroristica.

Senz’altro, negli ultimi tempi, la Puglia si è prospettata con una certa rilevanza, ma tradizionalmente i territori della Lombardia, del Piemonte, del Veneto e, per certi versi, anche dell’Emilia Romagna, rappresentano dei luoghi dove le comunità musulmane residenti da tempo hanno sempre prospettato delle frange minime di soggetti che in qualche modo sono stati vicini al mondo terroristico e dell’eversione islamista.

Questo è l’unico elemento di distinguo che è possibile utilizzare per individuare aree o regioni più pericolose.

Esistono in Italia le condizioni per creare quelle situazioni di marginalizzazione o per un terreno fertile a ghettizzazione come si è verificato in altri Paesi europei?

I numeri della comunità musulmana intesa in senso lato, sia di quella presente legalmente, sia di quella non del tutto regolare, sono numeri che non comportare la creazione di aree che si sono trasformate in veri e propri ghetti così come abbiamo visto in altre città europee. Da noi le minori presenze, ma anche uno spirito di naturale accoglienza – intesa non in termini buonisti come quella che riguarda il tema dei migranti – derivante da una diffusa cultura religiosa cattolica in Italia, ha consentito di sviluppare una maggiore integrazione nei confronti degli aderenti ad altre aeree religiose.

Il dialogo con il musulmano è sempre rimasto aperto in un’area dove la religione cattolica è quella predominante, dove il cattolicesimo stesso ha questa inclinazione naturale al dialogo religioso e all’accoglienza.

Questo aspetto non viene percepito dagli operatori della sicurezza come me, ma viene ritenuto prezioso dai sociologi come uno degli elementi che ha attenuato molto quel forte senso di discriminazione che si è sviluppato in altri paesi come la Francia.

Esiste il pericolo di un esercito di kamikaze? Cosa pensa dell’ultimo blitz che ha fermato 8 scafisti tunisini?

L’indagine non la conosco nei dettagli, ma la notizia conforta nell’idea che i rapporti tra le diverse intelligence interessate dal contrasto al terrorismo in quell’area del Mediterraneo, quindi Tunisia e Italia, hanno lavorato bene.

Esistono altri metodi per contrastare la radicalizzazione?

Esistono dei metodi che possono essere sviluppati. Non escludo che in questa legislatura, se dovesse durare, saranno sviluppati. L’idea è che potrebbe essere portata a termine la proposta di legge a mia prima firma sul contrasto alla radicalizzazione che prevede un forte incremento a livello istituzionale del dialogo interreligioso e del multiculturalismo, tutto questo non servirà a bloccare le iniziative dei lupi solitari, ma in termini di grandi numeri riuscirà ad attenuare che anche qui in Italia potranno esserci seconde generazioni fortemente disagiate e avvicinabili da falsi predicatori del male.

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