Che cosa accadrebbe se si dovesse perdere l’unico figlio a venti ore dalla nascita? Quali sensazioni si proverebbero nell’affrontare un evento come questo? Lo sa bene Michaela K. Bellisario, giornalista e scrittrice del romanzo Parlami di lei (edito da Cairo). Per 37 settimane e 4 giorni, infatti, ha nutrito la sua bambina, ma ha dovuto rinunciarvi subito dopo la nascita.
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“Tutto era pronto in casa – spiega Michaela – la culla di vimini bianca è finita in garage. Ho pianto e urlato per giorni, in una stanza vuota, quella di nostra figlia”.
Al dolore, però, si è aggiunta una nuova consapevolezza: raccontare la sua storia fatta di rinascita e resilienza, per dare voce e incoraggiare le altre donne che hanno avuto un’esperienza simile alla sua.
Con il libro Parlami di lei racconta la sua storia personale, quanto è stato difficile parlarne?
Ho pianto molto durante la stesura, ricordare significa riportare a galla emozioni. Ma sentivo di doverlo fare. Forse soprattutto per condividere con il resto del mondo il mio dolore più grande.
Queste tragedie si vivono da sole, con il conforto della famiglia ma non della società. Non c’è tempo, né voglia di fermarsi a piangere su un bambino mai vissuto. La storia di mia figlia mi scoppiava dentro.
Il titolo, Parlami di lei, voleva richiamare proprio questa esigenza.
Ricorda il momento in cui ha deciso di voler raccontare la sua esperienza?
È stata una mia amica e collega, Francesca Del Rosso, a spronarmi. Aveva scritto un memoir per raccontare la sua lotta contro il cancro al seno: Wondy, ovvero come si diventa supereroi per guarire dal cancro.
Un pomeriggio mi aveva invitata a casa sua per parlarne, mi aveva mostrato le bozze del suo libro con le correzioni dell’editor e mi aveva detto, “ora tocca a te”.
L’11 settembre 2016 il cancro se l’è portata via. Aveva una forza straordinaria, il libro è dedicato anche a lei. Non la dimenticherò mai.
Qual è il messaggio che vuole mandare?
Nella vita succedono eventi senza spiegazioni, in continuazione. L’unica cosa che possiamo fare è cercare ogni volta di capirne il significato per crescere.
Lungo il mio cammino sono diventata buddista. C’è un famoso detto che mi sforzo di capire: “Quando c’è da soffrire, soffri. Quando c’è da gioire, gioisci”.
E lei crede che possa esserci ancora un motivo per gioire?
Dalla mia esperienza sono nati tanti piccoli fiori. Ho imparato molto su me stessa, sul senso della perdita, ho dovuto fare i conti sull’impossibilità di avere altri figli, sulla frustrazione e la sofferenza.
Ma, in definitiva, ho fatto anche un incredibile percorso di resilienza. E oggi so che si può essere madri in tanti modi. Ho ricevuto anche tante email da altre donne che hanno vissuto un’esperienza simile alla mia.
Che idea si è fatta di loro?
Ognuno di noi reagisce in modo diverso al dolore, ma prima o poi tocca a tutti elaborarlo. La maggior parte delle donne riesce, per fortuna, ad avere altri figli e a dimenticare.
Ma la cicatrice resta sempre. Anche a distanza di anni. Molte donne mi scrivono e mi raccontano esperienze di vent’anni prima.
È stato anche il motivo per cui è nato il gruppo su Facebook “Parlami di lei, storie di maternità negata”
L’ho creato solo per incoraggiare le donne e raccogliere storie positive. Ricordare va bene, anche denunciarne il dolore, ma poi bisogna guardare avanti. Non c’è altra soluzione.
Cosa ne pensa della sanità italiana, a che punto siamo?
Siamo fortunati, abbiamo eccellenze incredibili e possiamo contare sul welfare. Non è scontato poter andare al Pronto soccorso ogni volta che ne abbiamo la necessità.
Né di finire in ospedale. Purtroppo la maggior parte delle persone non si rende conto di questa fortuna e finisce solo per criticare.
Secondo lei perché si muore ancora per complicanze ostetriche?
In realtà, grazie alle conquiste tecnologiche ci sono meno morti per complicanze ostetriche. Purtroppo venire al mondo è il momento più delicato nella vita di una persona: in quei frangenti può succedere di tutto.
Ho chiesto alla mia psicologa perché nei corsi preparto non si venga preparate all’eventualità del dolore.
Che cosa le ha risposto?
Semplicemente che non si può programmare un parto. Ogni evento è a sé stante.
Ma lei si sente tutelata come donna?
In generale in Italia c’è attenzione per le donne incinte, dal punto di vista medico. Poi, una volta tornate a casa, si salvi chi può.
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