“Io che ho settant’anni, e provengo da quella che un tempo si chiamava la classe operaia, ricordo il piacere di pagare: una sensazione di trionfo, o almeno di soddisfazione profonda, le prime volte che potevo procurarmi, pagando con soldi guadagnati da me, qualche piccolo lusso”.
Le parole di Walter Siti, scrittore e vincitore del Premio Strega nel 2013 con “Resistere non serve a niente” (Rizzoli), oggi sembrano paradossali. Possibile che pagare sia stato un piacere, una volta? Nel suo Pagare o non Pagare, pubblicato il primo marzo per la nuova serie “Trovare le Parole” dei gransassi di nottetempo, Siti ripercorre la mutazione genetica con cui questo piacere si è pian piano trasformato in qualcos’altro.
Com’è potuto accadere?. “Dal punto di vista culturale”, spiega Siti a TPI, “mentre l’economia diventava indiscutibile da parte di tutti i politici e tutte le ideologie, abbiamo smesso di parlare dell’economia finanziaria, sempre più nascosta nei suoi reali meccanismi”.
“Dato che la radice dell’economia si è ormai infilata sottoterra, si ha sempre meno la percezione di cosa significhi pagare le cose, e del relativo costo”, prosegue lo scrittore. “Che prezzo diamo a noi stessi? È venuta a mancare una sorta di sincerità rispetto a quanto costano le cose”.
“Viviamo in una società in cui la pubblicità ci invita continuamente a comprare, indicandoci ciò che è conveniente. Pertanto sembra che viviamo in una società incredibilmente affluente”, sostiene Siti. “Dall’altra parte la cronaca ci informa invece che stiamo sempre peggio, che è pieno di poveri che non arrivano alla terza settimana del mese”.
“Si crea quindi una contraddizione”, sostiene Siti “Tutti sono poveri ma tutti possono avere tutto. E naturalmente questo è possibile solo se non si parla mai di denaro e di quanto costano le cose. Si vive in una specie di sospensione onirica, in cui le contraddizioni sono possibili”.
Nel suo libro Siti parla dell’ “illusione consumistica” in cui hanno vissuto intere generazioni. Che non è propriamente un inganno, secondo lui, ma il modo in cui è strutturata la comunicazione moderna.
“Ci sono trasmissioni televisive dove si parla del consumismo e della necessità di ritrovare i veri valori dell’amicizia e della solidarietà”, dice Siti, “poi però, dopo un quarto d’ora, c’è la pubblicità tassativa e tutti questi discorsi vengono sospesi perché ci sono delle voci, con un volume più alto, che ci esortano a comprare questo o quello. Poi si torna alla trasmissione che dice che bisogna smettere di consumare. E nessuno nota la contraddizione, come se si vivesse in uno stato di sonnambulismo”.
Una volta sì che si conosceva il valore del denaro. Era un altro secolo, e alla guida del paese c’era quello che Siti definisce il “compratore assoluto”, Silvio Berlusconi.
“Non c’è dubbio che Berlusconi sia un uomo dell’altro secolo, con i suoi lati positivi come l’operosità, e negativi come la volgarità”, dice Siti a TPI. “Ma conosceva il valore dei soldi, e gli piaceva far vedere che poteva comprarsi determinate cose. Mentre i ricchi moderni, i ricchi della finanza, che fanno soldi con i soldi, hanno convenienza a tenere un profilo basso. Se io ora volessi dirle chi sono i dieci più ricchi finanzieri d’Italia non lo saprei”.
Il pamphlet di Siti non vuole essere un saggio, piuttosto una “autobiografia economica”, che parte da episodi della sua vita. Come quando, con i primi soldi guadagnati, lo scrittore comprò (con sommo piacere) un ventilatore alla madre, o quando i soldi servivano a comprare, o meglio ad affittare, la compagnia di giovani uomini.
“Non sono un’economista, non avrei mai potuto scrivere seriamente un saggio su quello che sta accadendo nell’economia. Non ho le competenze necessarie”, riconosce Siti. “Quindi l’unico modo che avevo di approcciare questo tema era partire da me e dalle mie esperienze”.
“Vengo da una famiglia operaia e adesso sono un piccolo borghese mediamente benestante. In televisione ci sono molte storie di poveri, poi è diventato di moda raccontare le storie dei super-ricchi. Le storie di vita del ceto medio sembra non interessino nessuno. Ho pensato: magari un rappresentante di questo ceto medio che racconta dal suo punto di vista com’è andata può avere qualche interesse”, prosegue lo scrittore.
Uno dei costi più frequenti, per i piccoli borghesi come lui, è il costo del conformismo. Chiediamo a Siti se lui ha mai comprato qualcosa solo perché ce l’avevano tutti.
“Un sacco di volte”, è la risposta. “Se vado a una cena di persone più ricche di me e devo comprare una bottiglia di vino, scelgo quella più costosa. Non perché conosca quei vini, ma perché penso che costando di più saranno più buoni. Spesso mi lascio guidare dalla marca o dalla fama di un prodotto, più che dall’effettiva utilità. Se sono depresso mi compro una piccola cosa di lusso, come un soprammobile, sperando che mi faccia stare meglio”.
La perdita di consapevolezza sul denaro e sul costo ha delle conseguenze. Da una parte c’è la gratis economy: chi è disposto a pagare se la musica, i film e le notizie sono gratuite? Non esistono solo Netflix e Spotify, ma anche alternative gratuite e legali per guardare film in streaming ed ascoltare musica.
“Se la comunicazione diventa gratis, da una parte è meno accurata, dall’altro non è davvero gratis, perché ci sono persone che ci guadagnano sopra. Guardiamo a quello che è successo in questi giorni con Facebook”, sottolinea Siti.
Dall’altro lato c’è il commercio solidale, di chi è disposto a spendere di più pur di essere sicuro che non ci siano fenomeni di sfruttamento dietro ciò che acquista.
“È un fenomeno di nicchia, ma effettivamente se davvero elimina una serie di costi in più consente di pagare di più i produttori”, sostiene Siti. “È un’opera assolutamente benemerita, poi bisogna stare attenti perché queste imprese poi diventano a loro volta dei marchi e possono poi a loro volta divenire delle macchine da soldi. Bisognerebbe controllare che ogni volta le cose avvengano in modo trasparente”, aggiunge.
E come la mettiamo allora con la prostituzione? Siti spiega la sua posizione sul tema sulla base di una metafora culinaria.
“Io sono di Modena, so perfettamente com’erano fatti i tortellini della mia mamma o della mia nonna. Erano impagabili e diversi da quelli che si comprano nelle bustine di plastica del supermercato. Ciononostante, ogni tanto mi va di prendere lo stesso una bustina di tortellini al supermercato e di farli al burro perché è una pasta che comunque mi piace. Però conosco la differenza tra le due. Come so cosa vuol dire fare l’amore con la persona di cui sei innamorato e fare l’amore con una prostituta. La differenza c’è, ma questo non vuol dire che in certi momenti tu non abbia bisogno o voglia di cercare una consolazione di più basso grado”.
“Penso comunque che il mio modo – non voglio dire quello degli omosessuali in generale – di accedere all’amore mercenario quando ero giovane non ha mai previsto il disprezzo per la persona a cui davo il denaro. Non ho mai provato altro se non gratitudine per i ragazzi che venivano con me”, racconta Siti.
“Mentre temo che molti uomini eterosessuali che pagano le ragazze, soprattutto se le trovano per strada, abbiano un sottofondo di disprezzo verso di loro. Dopodiché non so, non si può generalizzare”.
Nel suo libro, Siti scrive che pagare per i giovani è diventato un concetto “aleatorio”, proprio perché lavorare, essere pagati e, in futuro, avere una pensione, non è affatto scontato.
“Non ho consigli da dare perché non conosco i giovani. Sono vecchio e non ho figli”, dice Siti. “Penso che forse l’unica cosa da dire loro è che più riescono a mettere i piedi per terra, e a non lasciarsi prendere dall’illusione di ricchezza inesistente o dalla possibilità di avere tutto, nel momento in cui invece ti tolgono le cose fondamentali – come la possibilità di fare una famiglia, di avere un futuro decente quando sei anziano. Consiglio di diffidare da quelli che ti fanno credere che invece puoi spendere e spandere. È un inganno”.
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