I tassisti protestano dal 15 febbraio a Roma e in tutta Italia. Alla base dello scontro c’è l’emendamento al decreto milleproroghe, a firma Lanzillotta-Cociancich, che favorirebbe i servizi di noleggio con conducente (Ncc) e i servizi di mobilità basati su piattaforme online come Uber.
L’emendamento prevede che il termine entro cui il ministero dei Trasporti deve emanare il provvedimento contro l’esercizio abusivo del servizio taxi e Ncc sia rimandato al 31 dicembre 2017. Questa ulteriore proroga è dettata dai “timori per la limitazione della libertà di concorrenza nel settore che la sua applicazione avrebbe comportato”.
Nel 2015 l’Autorità di regolazione dei trasporti aveva chiesto al parlamento di intervenire sulla materia, consentendo anche i servizi come Uber e favorendo la circolazione degli Ncc.
Franco Becchis, economista e direttore scientifico della Turin School of Local Regulation, spiega a TPI perché la battaglia dei tassisti è una battaglia corporativa e antieconomica, e perché le vecchie tecnologie debbano accettare di essere sconfitte.
Dove vanno ricercate le fondamenta razionali della protesta dei tassisti?
Bisogna innanzitutto contestualizzare per capire l’origine di questa situazione e per capire la prima lezione contenuta in questa vicenda, che dura ormai da vent’anni. Lo stato non dovrebbe mai concedere licenze che possono cristalllizzarsi in beni privati, che a loro volta diventano parte del patrimonio personale di chi ha ottenuto queste licenze.
Questo è quanto accaduto, non solo in Italia, ma in molte parti del mondo. Le licenze sono diventate pezzi del patrimonio del tassista, rendite di posizione della sua famiglia e della sua storia finanziaria individuale. Ora che questo meccanismo viene messo in discussione, è possibile comprendere le ragioni dello scontento.
È una protesta giusta?
Non è congruo dire se la protesta è giusta o sbagliata. Possiamo cercare di comprendere le ragioni e capire quali possono essere le soluzioni migliori per il benessere collettivo.
Le forme della protesta sono deplorevoli e anche l’atteggiamento di chi pretende che lo stato sia sempre pronto a compensare gli shock che il mercato impone alle famiglie è un atteggiamento che non porta da nessuna parte.
È giunto il momento che i tassisti si arrendano ad aver perso nei confronti della tecnologia?
Non c’è dubbio: il taxi come bene materiale è stato sconfitto dalla tecnologia. Una delle cause dei problemi che abbiamo oggi è la linea politica che ha preferito la regolamentazione degli oggetti – stanze d’albergo e ristoranti – piuttosto che la regolamentazione dei servizi: mobilità, accomodation, entertainment. Abbiamo regolato gli oggetti e attorno agli oggetti abbiamo costruito asset e piccoli monopoli che fanno arrabbiare le persone quando questi vengono loro sottratti.
Esistono opportunità per i tassisti di ricollocarsi, di cambiare e scogliere il loro vecchio modo di lavorare in uno nuovo, come hanno dovuto fare in passato altre categorie di lavoratori come librai, insegnanti, giornalisti.
Come?
Riuscire a definirlo in concreto ora è difficile. I tassisti hanno cambiato la loro possibilità di prenotazione, usando quella web. Il mondo dei taxi è pieno di regole incomprensibili per l’utente, che mostrano modalità di offrire il servizio basate più sull’offerta che sulla domanda.
L’indennizzo per i tassisti potrà essere una soluzione?
In passato ho citato l’indennizzo come terreno di discussione, ma prima di valutare questa ipotesi vorrei aggiungere che ci sono tanti settori che sono stati travolti dal cambiamento della tecnologia o dei mercati, oppure da cambiamenti nel mondo della finanza.
I negozi di videocassette, le librerie, i giornali e le centrali elettriche che sono state costruite in tempi di sussidi e ora non lavorano. Il mondo si evolve. Alcuni riescono a ottenere compensazioni, perché l’orientamento politico è troppo forte per lasciare che queste persone vengano travolte. Ma i librai non hanno mai chiesto alcun tipo di compensazione per il fatto che il loro mercato sia stato travolto da Amazon.
La mia proposta è avere un terreno di discussione in cui la compensazione è solo un elemento. È meglio immaginare di allargare il mercato e ottenere introiti fiscali che permettano parzialmente di compensare le licenze. Non escluderei mai la politica dura del: “Signori è finita un’epoca, ognuno si arrangi”. Uno stato duro farebbe questo contro i manifestanti anche per segnalare la sua potenza e lasciare assorbire le perdite ai privati che hanno fatto un investimento, e come tale resta soggetto a un rischio.
Presto arriverà una sentenza della Corte di giustizia europea che stabilirà se Uber debba essere trattata come una società di trasporti o un servizio digitale. Questo cambierà le sorti della vicenda?
Questa è una vicenda di regolamentazione che sta sullo sfondo ed è strategica rispetto alla cronaca di questi giorni. Riguarda in generale le piattaforme che fanno incontrare milioni di micro offerte e milioni di micro domande attive non solo nella mobilità, ma anche nell’accomodation e nella ristorazione, e che oggi sono in una zona grigia della regolamentazione.
Se Uber dove essere dichiarata analoga a una società di trasporti sarebbe un colpo durissimo per le loro possibilità di sviluppo. Se, come credo, sarà considerata una piattaforma di scambio, quindi un servizio dell’economia digitale, si avrà una facilitazione della diffusione anche nei comuni più piccoli o refrattari. Ma i tempi previsti sono comunque lunghi.
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