Il 21 gennaio del 1921, quando l’intera Europa era attraversata da movimenti di stampo rivoluzionario sull’onda della Rivoluzione d’Ottobre iniziata nel 1917 in Russia, alcuni membri del Partito Socialista Italiano che preferivano una linea rivoluzionaria alla linea riformista del partito fondarono, a Livorno, il Partito Comunista d’Italia (PCd’I).
Il nuovo partito era guidato da Amedeo Bordiga, già esponente della corrente socialista radicale, e aderiva all’Internazionale Comunista,l’organizzazione cui aderivano i partiti di ciascun paese che si rifacevano all’Unione Sovietica (Urss).
Nel 1924 con l’avvento del predominio di Stalin in Urss, anche i partiti comunisti iniziarono a subire le conseguenza di questo cambiamento, tra cui il Partito Comunista d’Italia, dalla cui guida Bordiga venne rimosso e sostituito con Antonio Gramsci.
Intanto però in Italia nel 1922 Benito Mussolini aveva preso il potere con la marcia su Roma, e stava trasformando il paese in una dittatura fascista. Per questa ragione, nel 1926, il Partito Comunista d’Italia venne messo fuori legge e il suo leader, Antonio Gramsci, venne arrestato.
Il nuovo segretario fu Palmiro Togliatti, che gestì il partito da Mosca, dove trovò rifugio per evitare la persecuzione da parte del regime fascista. In questo periodo il partito, pur in clandestinità, si batté duramente contro la dittatura fascista.
Nel maggio del 1943 il partito cambiò nome in Partito Comunista Italiano (PCI).
Con l’armistizio di Cassibile, reso noto l’8 settembre del 1943, l’Italia ruppe la propria alleanza con la Germania e si schierò con gli alleati, facendo precipitare il paese in una guerra civile tra chi rimase fedele al re e chi si schierò al fianco della Germania nazista nella Repubblica Sociale Italiana, fedele a Mussolini.
In questo periodo nacquero in tutta la parte dell’Italia controllata dai nazifascisti brigate partigiane che si battevano per la liberazione di quei territori, dando vita alla cosiddetta resistenza italiana.
In questo ambito i partigiani comunisti, organizzati nelle brigate Garibaldi, furono il gruppo più attivo.
Nell’aprile del 1944 Palmiro Togliatti, ritornato in Italia, dette il via libera all’ingresso del PCI in un governo di unità nazionale dell’Italia liberata guidato dal generale Pietro Badoglio, ex fascista e fedele alla monarchia, superando così ogni divergenza con gli altri partiti che si opponevano al fascismo: questo episodio è noto come svolta di Salerno.
Dopo la fine della guerra nel 1945 e il passaggio dell’Italia da monarchia a repubblica nel 1946, il PCI entrò a far parte dell’assemblea costituente e contribuì a scrivere la nuova Costituzione italiana.
Sconfitto alle elezioni del 1948, il partito ebbe comunque un forte consenso popolare, dovuto anche all’importante ruolo avuto nel corso della resistenza, che lo portò a essere il principale partito italiano di opposizione alla Democrazia Cristiana.
Nel 1956 l’Urss soffocò nel sangue la rivoluzione ungherese. Il PCI in quell’occasione approvò il gesto dei sovietici, e questo fatto portò numerose persone, soprattutto tra gli intellettuali, ad abbandonare il partito.
Nel 1964 morì Palmiro Togliatti e gli subentrò Luigi Longo, al quale nel 1972 subentrò Enrico Berlinguer. Sotto quest’ultimo il PCI iniziò sempre di più a distanziarsi dall’Urss e a cercare di diventare un partito di governo. Fu in questo periodo che raggiunse i suoi consensi più alti, come nelle elezioni del 1976, quando rischiò concretamente di superare la Democrazia Cristiana.
Gli anni Settanta furono anche gli anni di piombo, caratterizzati dalla violenza e dal terrorismo di destra e di sinistra. Nonostante alcuni gruppi terroristi si rifacessero apertamente al comunismo, il PCI li condannò sempre senza esitazioni e fu sempre promotore di provvedimenti per arginare il fenomeno.
Sempre negli anni Settanta il PCI cercò un dialogo con la Democrazia Cristiana, noto come compromesso storico, volto a creare un governo tra i due partiti che portasse così i comunisti a divenire definitivamente un partito di governo, ma questo tentativo fallì.
Nel 1984 Enrico Berlinguer morì in seguito a un malore durante un comizio a Padova in vista delle elezioni europee: gli successe Alessandro Natta.
Negli anni Ottanta il PCI registrò un notevole calo dei consensi, diversamente dal PSI guidato da Bettino Craxi, che negli stessi anni ottenne un forte consenso.
Nel 1988, dopo che Natta fu colpito da un lieve infarto, fu eletto segretario Achille Occhetto. Quegli anni furono cruciali per la storia del comunismo mondiale: nel 1989 la caduta del Muro di Berlino portò alla conseguente caduta dei diversi regimi comunisti, fino all’Unione Sovietica.
Per questa ragione, Occhetto decise di dare una svolta al partito e avvicinarlo ai partiti socialdemocratici europei, in quella che divenne nota come svolta della Bolognina.
Nel 1991 un congresso del PCI votò a favore della proposta di Occhetto. Il partito decretò così il suo scioglimento e la nascita del Partito Democratico della Sinistra (PDS), ponendo così fine all’esistenza del PCI.
Nel 1998 Massimo D’Alema diventò presidente del consiglio: si trattò della prima persona ad aver militato nel PCI a raggiungere questa carica.
Nel 2006 Giorgio Napolitano è diventato invece il primo Presidente della Repubblica a essere stato membro del PCI.
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