Il 17 gennaio 2018 è stato approvato alla Camera dei Deputati il decreto che autorizza le missioni internazionali che impegneranno l’esercito italiano per l’anno a venire.
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Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha annunciato su twitter che “forze armate e cooperazione italiana lavorano per pace, sviluppo e stabilità, contro terrorismo e traffico di esseri umani.”
Nel 2018 quindi l’Italia sarà attiva in 21 paesi con 31 missioni, per circa 6.500 uomini in totale, per un costo di 1 miliardo e mezzo di euro (quasi 80mila euro in più che nel 2017).
Il Parlamento ha concesso finora solo una parte dei fondi, ossia quella sufficiente a finanziare le attività dell’esercito fino a settembre 2018, quando verrà discusso l’impiego del restante budget.
Tutte le nuove missioni, ad eccezione del piano di air policing della NATO per la sorveglianza dello spazio aereo, si svolgeranno sul continente africano.
Nel decreto del Consiglio dei ministri si legge infatti: «Le nuove missioni si concentrano in un’area geografica – l’Africa – ritenuta di prioritario interesse strategico in relazione alle esigenze di sicurezza e difesa nazionali».
Le operazioni più rilevanti riguarderanno quindi Libia (dove arriveranno nuove truppe italiane), Tunisia (in accordo con la NATO) e Niger, mentre due missioni minori saranno attivate nel Sahara occidentale e nella Repubblica Centroafricana.
Vengono inoltre riconfermati gli interventi in Egitto, Somalia, Gibuti, Libano (insieme all’ONU) e Kosovo (con la Nato), e quelli nel Mar Mediterraneo nell’ambito delle operazioni “Mare sicuro” e “Sophia” (quest’ultima lanciata dall’Unione europea).
Nonostante la sconfitta dell’ISIS a Mosul, l’esercito italiano rimarrà presente anche sui territori iracheni e afghani, riducendo però notevolmente il numero di unità per reimpiegarle in altre missioni, specialmente in quella nigerina.
La novità maggiore è proprio l’ingresso delle truppe in Niger, cui l’Italia destinerà il 40 per cento dei suoi fondi di assistenza per l’Africa.
Si tratta della seconda missione più costosa, con 30 milioni di euro, immediatamente dopo quella in Libia, che costerà quasi 35 milioni di euro.
Come ha affermato la ministra della Difesa Roberta Pinotti non si tratterà di una missione “combat”: i (massimo) 470 militari italiani non dovranno controllare i conifini ma solo addestrare le forze armate nigerine per aiutarle a contrastare più efficacemente il terrorismo jihadista e il traffico di esseri umani.
In occasione del vertice del G5 Sahel del 13 dicembre 2017, il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni aveva dichiarato che l’intervento ha il fine di incrementare la stabilità e alla lotta contro il terrorismo nella zona compresa tra il deserto del Sahara a nord e la savana del Sudan a sud.
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Dal punto di vista del governo italiano, il Niger assume un interesse strategico sotto diversi punti di vista.
Si sospetta che l’alto tasso di criminalità del paese procuri gran parte degli introiti del terrorismo jihadista.
Aiutare le forze armate nigerine a contrastare il crimine significa quindi tentare di chiudere i rubinetti al terrorismo.
Inoltre il Niger si trova sulla rotta attraversata da migliaia di migranti per arrivare alla Libia.
Non si può infatti ignorare il fatto che l’operazione italiana si inserisce nel quadro della dura politica di contrasto ai flussi migratori adottata dal governo.
Forse anche queste motivazioni hanno spinto l’Italia ad intensificare le relazioni diplomatiche con Niamey.
Dal 3 gennaio 2018 infatti la capitale nigerina è sede della prima ambasciata italiana in tutta l’area del Sahel, come ha annunciato in un tweet il ministro degli Esteri Angelino Alfano.
Le truppe italiane hanno raggiunto le forze armate provenienti da Francia (storicamente portatrice di interessi verso la ex colonia) e Stati Uniti, già da tempo impegnate nella zona a sostegno del presidente Mahamadou Issoufou.
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Il Niger condivide infatti gli scopi perseguiti dall’esecutivo italiano.
Nel 2015 ha varato la legge 36 sul traffico illecito di migranti, una disposizione che mira a contrastare i flussi migratori e la tratta di esseri umani.
Dal 2014, poi, fa parte insieme a Mali, Ciad, Burkina Faso e Mauritania del G5 Sahel, nato per affrontare congiuntamente il terrorismo jihadista.
Il corpo armato è finanziato dall’Unione europea, che l’anno scorso ha vi investito più di 50 milioni di euro.
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