Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Menu
Home » News

“I poliziotti mi massacrarono di botte: oggi sono invalido al 100%. Ma dopo 13 anni nessun colpevole”

Il 24 settembre del 2005, il tifoso del Brescia Paolo Scaroni venne massacrato di botte dalla Polizia a margine di una partita di calcio. A 13 anni di distanza non ha ancora ottenuto giustizia

Di Lara Tomasetta
Pubblicato il 29 Nov. 2018 alle 13:46 Aggiornato il 30 Nov. 2018 alle 13:37

“Ho perso 20 anni di memoria, sono invalido civile al 100 per cento, ricordo solo i manganelli che affondavano nel cranio e premevano, ho perso tutto, tutto solo per una partita di calcio che nemmeno ho visto”.

Questa è la storia di Paolo Scaroni, 42 anni, un tifoso del Brescia, un “ultras”, che il 24 settembre del 2005 venne massacrato di botte dalla Polizia a margine di una partita di calcio.

Quel giorno Paolo non era entrato allo stadio, c’erano tensioni tra ultras e forze dell’ordine. Paolo, però, stava mangiando un panino quando venne travolto da una scarica di violenza che lo portò al coma: tre cariche della celere, violentissime.

Paolo ne uscì con la testa fracassata: salvato dagli amici, si rialzò, vomitò e svenne. Si svegliò un mese dopo, quando i medici lo avevano dato per spacciato. Era vivo e poteva raccontare cosa gli avevano fatto.

Da quel giorno iniziò la lunga trafila di processi che oggi ancora non vedono dei colpevoli.

“Nomi e cognomi ci sono, manca il giudice che abbia il coraggio di dire:  “Sì, credo alla ricostruzione che ha fatto la Polizia stessa. Ora questo giudice di Venezia lo vedo molto più libero di decidere. Gli otto nomi che sono usciti sono indagati per lesioni gravissime”, racconta Paolo a TPI.

Alla fine del 2005, cominciò a raccontare tutto a una poliziotta che ebbe il coraggio di aprire un’inchiesta sui colleghi. La commissaria indagò in solitudine. Scoprì verbali truccati. Testimonianze insabbiate. Filmati spariti. Poi altri poliziotti ruppero l’omertà sbugiardano le relazioni ufficiali di un dirigente della questura.

Una storia difficile, iniziata con il processo di primo grado che hai perso.

L’ho perso ma l’ho vinto per punti, nel senso che il giudice ha ammesso che “la polizia quel giorno invece di fare ordine fece disordine” (parole testuali del giudice), e ha detto anche che la polizia tutta era responsabile, non il singolo, perché il singolo non si poteva identificare per colpa della mancanza di codici identificativi sulle divise.

Quindi il processo di primo grado l’ho perso, ma grazie a questo giudice ho potuto fare causa civile allo Stato e vincerla. E ottenere parte del risarcimento. Parte lo avrò quando vincerò l’appello.

Adesso c’è l’appello. Finalmente.

Non ricordi se qualcuno ti diceva qualcosa mentre ti picchiavano?

No, ricordo solo i colpi di manganello che affondavano nella testa, con il lato duro.

Io, a differenza di Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi e Uva, posso raccontare quello che è successo.

Al processo stesso, il medico legale testimoniando ha detto che il tipo di affossamento cranico che avevo era dovuto al pestaggio con i manganelli al contrario.

È una battaglia più difficile?

Ci sono io identificato come ultras, una delle peggiori specie viventi attualmente in Italia. E questo è peggio ancora. Non ero solo un semplice cittadino, c’era questa cosa che era un’aggravante.

Hai subito intimidazioni?

Mi è arrivata una lettera una volta in cui mi auguravano di restare sulla sedia a rotelle a vita. Che ero un drogato, un alcolizzato di me**a.

Ti sei confrontato con la difficoltà di far emergere la verità. Era la tua parola contro lo Stato.

La mia parola vale poco. Non ci sono altro che le mie menomazioni fisiche per provare quello che è stato fatto quel giorno. Basta vedermi che capire cosa è successo, come hanno abusato di me.

Quel giorno ho perso tutta la mia vita, ho perso il lavoro.

Oggi hai 42 anni, all’epoca eri solo un ragazzo che era andato a vedere una partita.

Avevo 30 anni, ero tranquillo in compagnia dei miei amici, ed ero andato a vedere una partita di calcio che per assurdo non ho neanche visto, perché per protesta eravamo rimasti fuori dallo stadio, in solidarietà ad altri ragazzi che non potevano entrare per via del biglietto nominale.

Ti sei domandato come mai tutta questa violenza contro di te?

Per come la vedo io, la polizia cercava di fare il danno più grosso che poteva e solo per caso sono capitato in mezzo io. Poteva esserci chiunque. Picchiavano a destra e a manca. Vidi anche una ragazza con un ematoma nero al seno. È stata una macelleria messicana, una mattanza.

L’unica poliziotta che fin dall’inizio mi ha sostenuto e iniziato l’indagine ha subito provvedimenti disciplinari e pressioni, trasferimenti legati a questa storiaccia.

Si è comportata da grande persona.

Cosa pensi oggi?

Mi fa rabbia che i cittadini non si rendano conto che lo Stato sta sperperando i loro soldi per risarcire cittadini come me, dato che non vengono identificati i colpevoli e che dovrebbero essere loro a pagare: 3 milioni di euro per Gabriele Sandri, due milioni di euro e più dati alla famiglia di Federico Aldrovandi, 1,5 a me. Devono liquidare ancora Stefano Cucchi. Sono tanti soldi che lo Stato spende per proteggere questi poliziotti.

A me sarebbe andato bene prendere meno soldi ma sapendo che a pagare è stato chi mi ha fatto del male. Chi è veramente colpevole, non la collettività.

Questo dovrebbe indignare la popolazione italiana.

Leggi l'articolo originale su TPI.it
Mostra tutto
Exit mobile version