L’ultimo posto dove ci si immaginerebbe di trovare un pagliaccio è tra le macerie di Aleppo est, dove ogni edificio porta le cicatrici di un conflitto iniziato nel 2011. Invece è proprio lì che ha fatto tappa, poche settimane fa, Marco Rodari, in arte il Pimpa.
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Armato di naso rosso e cappello con le eliche, ha trascorso gli ultimi dieci anni facendo la spola tra le zone più difficili del Medio Oriente: Gaza, Alessandria d’Egitto, Baghdad e adesso quella che era considerata la capitale culturale della Siria.
“Io non vado a cercare la guerra”, chiarisce Marco a TPI. “Ma se la trovo ci resto. Perché sono un clown, e portare sorrisi ai bambini è l’unica cosa che posso fare”.
Lo dice con una semplicità disarmante, quasi in imbarazzo per l’interesse che suscita. Ma i segni dei bombardamenti, dei morti e dei feriti si ritrovano in quei sottili fili argentati che compaiono tra le sopracciglia scure, che incorniciano uno sguardo limpido, a tratti scanzonato.
“In Medio Oriente mi è capitato di rischiare la vita e di pensare che ne valesse la pena”, racconta il Pimpa. “Ma è legato a quel momento: giocarsi la pelle è una cosa da eroi, e io non sono un eroe”.
Marco aveva 14 anni quando ha capito che fare il clown sarebbe stato il suo destino. “Facevo ridere tutti i bambini dell’oratorio, nella mia parrocchia a Leggiuno, in provincia di Varese”, ricorda Marco. Da allora si è sempre relazionato con i più giovani, diventando insegnante di lettere, per poi tornare al suo naso rosso: prima nei reparti di oncologia nella natia Lombardia, poi in Medio Oriente.
“Io amo far ridere tutti i piccoli, sofferenti e non, ma sotto le bombe è una sensazione diversa: la guerra entra dentro quei sorrisi”, risponde Marco a chi gli chiede perché andare all’estero quando ci sono tante infanzie negate anche in Italia. “È una sciocchezza pensare che i bambini siano abituati al conflitto”.
Racconta delle volte in cui le bombe hanno iniziato a cadere durante i suoi spettacoli: i piccoli non facevano una piega e lo incitavano a continuare urlando “Yalla, Marco!”.
“Lì capisci che ormai hanno un sistema emozionale come un elettrocardiogramma piatto”, continua Rodari. “Sono morti dentro, quei bambini, non sono semplicemente abituati: è diverso”.
Allora a cosa servono le magie del Pimpa? “A regalare una distrazione momentanea: in guerra si guarda al minuto dopo, non al futuro”, risponde Marco. “Ma quei sorrisi sono un segno di speranza per i loro genitori e per gli adulti che assistono agli spettacoli. È l’unica prospettiva che conta”.
In quest’ottica, nel 2015 Rodari ha fondato la onlus Per far sorridere il cielo che, grazie al contributo di numerosi volontari, promuove laboratori di magia e clown-terapia per minori con traumi fisici e psicologici causati dalla guerra.
“Nella Striscia di Gaza ho visto ragazzi mettersi una parrucca in testa e cercare di far sorridere i più piccoli”, spiega il Pimpa. “Come associazione ci impegniamo a formarli, perché tramutino quell’entusiasmo in un’attività più strutturata. E i frutti si vedono: ci sono tanti clown che hanno cominciato a lavorare nelle strutture ospedaliere o per le strade”.
Il Pimpa ha già pronta la sua valigia piena di palloncini, cilindri e fiori di carta. “Voglio tornare in Siria, c’è tanto da fare lì”. Perché, come scrive nel suo libro La guerra in un sorriso, quando tutto è andato distrutto, non resta che la meraviglia.
“Se guardo le macerie di Aleppo in modo razionale, mi rendo conto che non c’è futuro”, conclude Marco. “Ma con il naso rosso e un pizzico di magia scorgo la meraviglia negli occhi dei bambini: lì ritrovo la speranza”.
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