A cinque anni dal rapimento di padre Paolo Dall’Oglio potrebbe esserci una svolta sulla vicenda. Uno degli amici del religioso rapito a Raqqa, che lo ospitò e accompagnò nei giorni che precedettero il rapimento, ha indicato il nome di un emiro dell’Isis, ancora residente in Siria, possibile rapitore del gesuita.
L’uomo ha già raccontato la sua esperienza al quotidiano siriano Raqqa Post, ma domenica in seconda serata comparirà, insieme ad altri testimoni, nel documentario Abuna di Amedeo Ricucci del Tg1, che andrà in onda su Rai Uno proprio in occasione del quinto anniversario dal sequestro del religioso.
Le immagini del reportage di Ricucci riprendono una Raqqa martoriata dai bombardamenti. Ma non solo: si vedono le fosse comuni in cui sono stati gettati centinaia e centinaia di corpi senza vita. Tra questi, anche le vittime dell’Isis.
Ricucci ha incontrato i sopravvissuti e le autorità di Raqqa. Così ha scoperto che l’uomo con cui il religioso avrebbe parlato è ancora vivo e in quei giorni detenuto dalle autorità di Raqqa. Abd al-Rahman al Faysal Abu Faysal, poi riconosciuto come uno degli uomini più importanti dell’Isis.
Già a giugno alcuni attivisti per i diritti umani riferivano che l’uomo sarebbe stato rilasciato da parte delle autorità che oggi gestiscono Raqqa. Ricacci, che ha parlato con loro, non ha potuto intervistarlo.
Vatican Insider ha chiesto notizie alle autorità curde del Rojava, che dopo essersi attivate hanno riferito che i detenuti interpellati non ricorderebbero i fatti del 2013 né il nome del religioso.
I tanti cittadini intervistati da Ricucci nel suo documentario ricordano bene padre Dall’Oglio. Addirittura una giovane donna, velata, racconta i presidi che ebbero luogo in città per chiederne il rilascio del religioso, accompagnati dalle manifestazioni contro l’Isis.
Iyar Dhes il 29 luglio del 2013 accompagnò padre Dall’Oglio fino all’ultimo minuto. Nell’articolo del Raqqa Post non manca di sottolineare l’amore del gesuita per i siriani, le battaglie per la loro libertà.
Dopo oltre quattro anni dal rapimento, Iyas ha scritto: “Padre Paolo si recò nella città di Raqqa dopo la sua liberazione nel 2013 e durante la sua visita ebbe modo di incontrare molti attivisti e cittadini comuni con cui sedeva nelle strade e nei bar, parlando, ascoltando”.
L’obiettivo del gesuita era quello di puntare l’attenzione sulla sorte dei siriana nel tempo dell’occupazione dell’Isis.
Iyas Dhes e la sua famiglia ospitarono padre Paolo fino al momento del sequestro. Ancora sul Raqqa Post racconta: “Il 28 luglio 2013 padre Paolo si è recato nella sede centrale dell’Isis presso il palazzo del governatorato chiedendo di potere incontrare un responsabile o un emiro”.
“Vi è stata una discussione all’ingresso con le guardie, una di loro gli ha detto di tornare la sera, avrebbe potuto incontrare l’emiro. La sera è quindi tornato per sentirsi dire di ripassare nuovamente il giorno dopo alle 13. Nonostante le nostre raccomandazioni e la nostra insistenza a non recarvisi, andò all’incontro perché voleva aiutare la gente e credeva profondamente in ciò che faceva”, scrive ancora Iyas.
“Il 29 luglio 2013, il giorno del suo rapimento, stava a casa nostra, e raccomandò a mio padre di divulgare la notizia nel caso non fosse tornato entro tre giorni. Gli augurammo che non gli accadesse nulla, di rivederci presto. Non dimenticherò mai il suo sguardo mentre ci salutava, sentivo che aveva paura, ma non sapevo che sarebbe stata l’ultima volta che lo avrei visto. Quel giorno si preparava un pranzo in casa, di quelli che si preparano in onore di un membro della famiglia. Era in suo onore”, si legga ancora sul Raqqa Post.
E il racconto continua fino al momento in cui del religioso si perse ogni traccia: “Camminava da solo, senza dire una parola, poi si è fermato davanti alla porta e lì io e mio padre l’abbiamo salutato. Quindi è salito in macchina con il dottor Muhammad al-Haj Salih che l’ha accompagnato e, prima di arrivare, padre Paolo ha insistito per scendere; temeva che l’Isis facesse del male a chi era con lui. Padre Paolo si è diretto verso la sede dell’Isis e da qual momento non abbiamo più saputo nulla di lui”.
Poi Iyas e il padre sono andati a cercare padre Paolo proprio alla sede dell’Isis, ma di lui nessuno sapeva nulla: “Abbiamo chiesto di incontrare l’emiro dell’organizzazione. Ci hanno condotto nel sotterraneo dove ci siamo seduti in un corridoio ad aspettare. Dopo cinque minuti è arrivata una persona, credo fosse l’emiro del fronte orientale, portava una cintura esplosiva accompagnato da persone armate che puntavano le loro armi contro di noi. Abbiamo chiesto all’emiro: “È venuto da voi una persona di nome Paolo che poi è scomparso?”. L’emiro ci ha risposto di non averlo visto e di non sapere niente di lui”.
I due a quel punto non hanno aspettato i tre giorni e hanno denunciato subito il rapimento di padre Paolo: “La sparizione di questo uomo nobile era ed è tuttora una grave perdita per la rivoluzione e per tutto il popolo siriano, un uomo che cercava di seminare l’amore fra le persone affinché si aiutino gli uni con gli altri”.
Di Paolo Dall’Oglio non si sa più nulla da quel 29 luglio 2013. Quel che è certo è che l’uomo che si trovava lì dove il gesuita è andato e che nega di averlo visto è vivo e si trova a Raqqa. Di lui si conoscono nome e volto. Ora spetta alle autorità competenti interrogarlo e capire se può essere lui l’uomo chiave per trovare una svolta alla vicenda drammatica di Padre Dall’Oglio.
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