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Gli italiani odiano gli omosessuali?

L'Italia è nelle ultime posizioni in Europa per tutela dei diritti del mondo Lgbt. Ma esiste l'omofobia in Italia e se sì quanto è diffusa? Le opinioni prevalenti

Di Lara Tomasetta
Pubblicato il 13 Gen. 2017 alle 16:37 Aggiornato il 13 Gen. 2018 alle 13:09

La Treccani la definisce “Avversione ossessiva per gli omosessuali e l’omosessualità”, ma cos’è l’omofobia e quanto è presente in Italia?

“Omofobia” è un termine coniato dallo psicologo George Weinberg, per definire la paura irrazionale, l’intolleranza e l’odio nei confronti delle persone omosessuali da parte della società etero sessista.

Secondo il rapporto pubblicato nel 2016 dal’Ilga, la più importante Ong europea che si occupa di diritti umani di omosessuali e trans, il nostro paese è quello dell’Europa occidentale che li tutela peggio e dove maggiori sono le discriminazioni.

Rispetto al 2015 l’Italia ha perso due posizioni nella classifica generale, passando dal 49esimo posto al 34esimo, dopo Georgia, Slovenia e Romania.

Secondo il rapporto, in 119 stati membri Onu non esistono sanzioni legali nei confronti di atti sessuali tra persone dello stesso sesso adulte e consenzienti, ma 75 stati sono classificati come “criminalizzanti”, perché considerano le relazioni omosessuali illegali o sono caratterizzati da regimi repressivi che puniscono gravemente le relazioni omosessuali.

In Italia – l’omosessualità è legale e dal 1890 viene riconosciuta la stessa età consensuale prevista per l’eterosessualità. Dal punto di vista dei diritti, l’Italia ha vietato la discriminazione sul lavoro in base all’orientamento sessuale con una legge del 2003.

Dal 1980, invece, l’omosessualità è stata esclusa da qualunque criterio diagnostico. Da oltre 30 anni l’omosessualità e il transessualismo non sono considerati patologie.

Claudio Mencacci, psichiatra e presidente della società italiana di psichiatria, spiega a TPI come “la stigmatizzazione dell’omosessualità e l’omofobia siano fenomeni ancora molto presenti in Italia. Oltre gli atteggiamenti più espliciti e le posizioni apertamente avverse all’omosessualità, esiste un tipo di omofobia strisciante”, continua a spiegare lo psichiatra “che si declina in battute e considerazioni critiche in modo aprioristico che azzerano il dibattito e alimentano un certo tipo di mentalità. A quella forma di omofobia bisogna stare anche più attenti”.

Le posizioni in Italia sul tema dell’omosessualità sono ancora molto contrastanti: parte del mondo cattolico propugna una possibile “guarigione” dall’omosessualità.

Sono diversi, infatti, i siti web di stampo cattolico dove è possibile leggere che l’omosessualità è “uno stato psicologico particolare, determinato da fattori esterni all’uomo, che ne influenzano e ne condizionano il carattere e che ritornare eterosessuali è possibile”, e dove vengono addirittura indicati i link cui far riferimento per cominciare un percorso di guarigione e “ritornare in una condizione naturale normale”.

C’è anche chi, come la dottoressa e scrittrice Silvana De Mari, sostiene che l’omosessualità non esiste. Da diversi anni De Mari sta portando avanti una battaglia aperta contro il movimento Lgtb per la salvaguardia del credo cattolico e la salvezza del mondo occidentale.

Come ha infatti spiegato a TPI, “L’omosessualità è la non accettazione del diverso in cui vi è una sostanziale rinuncia alla sessualità vera e propria”, intesa come metodo riproduttivo.

Sempre secondo quanto asserito dalla dottoressa, “gli omosessuali sono in realtà degli asessuati omoerotici che stanno annientando il cristianesimo. L’omosessualità è un disturbo istrionico della personalità che pochi psichiatri hanno eletto a condizione normale di un essere umano”.

Nonostante il dibattito sia ancora molto acceso e le posizioni nettamente contrastanti, il presidente della società italiana di psichiatria Mencacci ha dichiarato che attualmente non risultano professionisti psichiatri che proclamino una possibile cura dell’omosessualità e che sicuramente questi non fanno parte del loro consesso scientifico.

“A noi non risulta che ci siano colleghi, nostri soci che abbiamo un approccio all’identità di genere orientato a considerare l’omosessualità come una patologia”, ha concluso Mencacci.

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