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Uccise la compagna, il tribunale dimezza la pena: era in preda a “tempesta emotiva” da gelosia

Michele Castaldo e Olga Mattei
Di Giovanni Macchi
Pubblicato il 2 Mar. 2019 alle 12:35 Aggiornato il 2 Mar. 2019 alle 12:52

Ha strangolato a mani nude la compagna a Riccione (Rimini) nel 2016. Un caso di cronaca di cui si era parlato molto. In primo grado era stato condannato a 30 anni.

La Corte d’appello di Bologna, però, ha dimezzato la pena a Michele Castaldo, 57 anni, riducendola a 16 anni.

All’epoca dei fatti, Castaldo aveva da poco intrapreso una relazione con Olga Mattei, una donna che però dopo meno di un mese aveva deciso di allontanarlo.

L’uomo, a causa del rifiuto, aveva perso la testa. “Le ho detto che lei doveva essere mia e di nessun altro”, aveva raccontato ai magistrati.

Un vortice di gelosia e nevrosi che lo portò a commettere un delitto atroce, da lui stesso confessato.

Per la Corte d’appello di Bologna, però, che ha depositato le motivazioni della sentenza di secondo grado, Castaldo ha commesso il fatto in preda a una “soverchiante tempesta emotiva e passionale”.

Una condizione “certamente immotivata e inidonea a inficiare la sua capacità di autodeterminazione”, ma che, anche “a causa delle sue poco felici esperienze di vita”, è comunque “idonea a influire sulla misura della responsabilità penale”.

La gelosia, insomma, è stata considerata una delle attenuanti, assieme alla confessione dell’imputato, e ha compensato le aggravanti dei motivi “futili e abietti”, chieste dal pm e riconosciute dai giudici.

La pena comminata in realtà sarebbe stata di 24 anni, ma la scelta dell’imputato di ricorrere al rito abbreviato ha comportato la riduzione di un terzo degli anni (passati quindi a 16).

Castaldo, all’epoca dei fatti, dopo aver commesso l’omicidio aveva tentato di suicidarsi con dei farmaci. Una circostanza che ha in qualche modo contribuito a convincere i giudici che all’uomo, a causa della sua instabilità e fragilità, potessero essere concesse delle attenuanti.

La sentenza comunque è destinata a far discutere. In queste ore sui social c’è già chi ha espresso indignazione per quanto stabilito dalla Corte d’appello di Bologna.

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