Svolta nell’inchiesta bis sulla morte di Stefano Cucchi. Il pm Giovanni Musarò chiude l’inchiesta aperta nel novembre del 2014 e la procura di Roma chiede il processo con nuovi capi d’accusa a carico dei tre carabinieri, Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco, che secondo la ricostruzione del pm riportata dal settimanale L’Espresso avrebbero: “provocato tumefazioni ed ecchimosi, lesioni personali con esiti permanenti. Una rovinosa caduta con impatto al suolo”.
Si aggrava dunque la posizione dei carabinieri che arrestarono Cucchi nel parco degli acquedotti di Roma e deceduto il 22 ottobre 2009. I tre agenti erano stati a lungo indagati per lesioni personali aggravate ma ora la loro posizione si complica: omicidio preterintenzionale pluriaggravato dai futili motivi e dalla minorata difesa della vittima, abuso di autorità contro arrestati, falso ideologico in atto pubblico, calunnia.
Si aggrava anche la posizione degli altri due indagati, il comandante della stazione Appia Roberto Mandolini e dell’appuntato Vincenzo Nicolardi, per le dichiarazioni rese sotto giuramento nel processo di primo grado, ora accusati di calunnia.
Cade dunque la perizia secondo la quale il giovane Stefano Cucchi, geometra romano arrestato per droga nel 2009 e morto sei giorni dopo, sarebbe morto per epilessia. La perizia citava “morte improvvisa e inaspettata per epilessia in un uomo con patologia epilettica di durata pluriennale, in trattamento con farmaci anti-epilettici”.
Ma, sempre secondo l’Espresso, il 12 dicembre 2016 il professor Federico Vigevano, neurologo di fama internazionale dell’ospedale Bambino Gesù di Roma, avrebbe depositato una relazione dettagliata in cui si sottolineava che: “Non vi è alcuna evidenza che l’epilessia possa aver determinato la morte”.
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