Fra le forze che governano il mondo attuale – oltre a quella finanziaria e tecnologica – c’è quella migratoria. Le migrazioni sono indotte da una combinazione di fattori economici, politici e sociali sia del paese di origine che da quello di destinazione. Per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale, secondo i dati dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) il numero di rifugiati oggi ha superato i 60 milioni in tutto il mondo. Un numero vicino a quello della popolazione italiana.
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L’aumento del flusso migratorio è determinato da alcune situazioni di esodo forzato dai 15 conflitti africani particolarmente gravi in Sud Sudan e nella Repubblica Centrafricana ma anche dalla persistenza della crisi siriana e libica. I migranti e rifugiati sbarcati in Italia nel 2016 provengono soprattutto da Nigeria (15 per cento), Gambia (10 per cento), Somalia (9 per cento), Eritrea, Guinea e Costa d’Avorio (8 per cento).
Frontex, l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea, ha individuato sette rotte, utilizzate da migranti e rifugiati per raggiungere l’Europa. La Turchia come porta d’ingresso delle rotte balcaniche o dell’Europa orientale; le enclavi spagnole in Africa di Ceuta e Melilla per chi si sposta verso la penisola iberica; l’Ucraina, luogo di passaggio per entrare in Finlandia, Norvegia, Romania e Polonia; la Macedonia per raggiungere la Serbia e il confine tra Serbia e Ungheria. Ma è la Turchia che, rispetto alla propria popolazione, ha ospitato più rifugiati.
Le missioni nel Mediterraneo e l’accordo con la Turchia
Per far fronte al dramma delle morti per affogamento durante la traversata del mediterraneo l’Italia aveva predisposto la missione militare umanitaria “Mare Nostrum” con l’intento di potenziare il controllo dei flussi migratori e la salvaguardia della vita dei migranti in mare e l’arresto dei trafficanti di esseri umani. Il costo dell’operazione era di 9,3 milioni di euro al mese e su risorse aggiuntive dell’Unione Europea per quasi 2 milioni di euro (dal fondo Ue per le frontiere esterne per le attività di emergenza).
La decisa opposizione politica a “Mare Nostrum” ha costretto però a passare, a gennaio 2015, all’operazione Triton con un costo minore (2,9 milioni al mese). Rispetto alla precedente questa puntava a sorvegliare le frontiere marittime esterne dell’Unione europea e a contrastare l’immigrazione irregolare e le attività dei trafficanti di esseri umani, con un’area operativa più limitata (entro le 30 miglia dalle coste italiana e maltese). Con il passaggio da Mare Nostrum a Triton non sono diminuiti gli sbarchi ma i morti in mare sono aumentati. Dopo l’ennesima strage al largo delle coste libiche nel aprile 2015, il Consiglio d’Europa ha bocciato Triton definendola “non all’altezza”.
L’Unione europea ha quindi lanciato l’operazione Sophia, ufficialmente denominata “European Union Naval Force Mediterranean” e conosciuta anche con l’acronimo EUNAVFOR Med. Lo scopo dell’operazione è quello di neutralizzare le consolidate rotte della tratta dei migranti nel Mediterraneo. La sede operativa è situata a Roma e le attività sono di sorveglianza e la valutazione delle reti e navi di contrabbando e traffico di esseri umani nel Mediterraneo. L’Unione europea ha stanziato un bilancio comune di quasi 12milioni di euro per un periodo di 12 mesi. Inoltre, le attività militari e il personale sono forniti dagli stati che contribuiscono all’operazione, con costi e spese per il personale stabiliti in base alla normale spesa nazionale.
È abbastanza recente infine l’accordo Ue-Turchia per gestire l’emergenza profughi. L’intesa permette all’Ue di salvare il trattato di Schengen e garantisce alla Turchia un sostanzioso aiuto finanziario (più di 6 miliardi di euro) per trattenere in loco la massa migratoria proveniente dalla regione mediorientale. L’accordo consentirebbe ai profughi di non mettere la propria vita alla mercé di trafficanti senza scrupoli, grazie all’apertura di canali ufficiali per giungere in Europa. Purtroppo la Turchia non può però essere legalmente definita un “paese sicuro” verso cui è consentito rispedire coloro le cui richieste di asilo vengono scartate. L’accordo infatti ha suscitato le proteste di numerose ong che hanno più volte denunciato gli abusi del governo turco a danno dei ceti sociali deboli.
Dai dati relativi agli ultimi mesi il costoso accordo Ue-Turchia per bloccare la rotta balcanica si è inoltre dimostrato fragile e funzionale forse solo a bloccare chi scappa dall’orrore della guerra civile in Siria.
Controlli alle frontiere e accoglienza
A oggi sembra che la questione migranti sia costata più di 13 miliardi di euro per gestire i rimpatri e controllare le frontiere. Senza considerare i costi per l’accoglienza. Miliardi spesi per fare rimpatriare i migranti, per il controllo delle frontiere esterne, per lo sviluppo dei sistemi tecnologici alla sorveglianza e identificazione, per la costruzione dei muri in Bulgaria e Marocco, e la dotazione di armi della polizia di frontiera.
Tra le diverse voci 75 milioni sono stati spesi dall’Europa per aiutare la Tunisia (durante la reggenza di Ben Alì), l’Egitto, la Libia, l’Algeria e la Mauritania a impedire l’attraversamento del Mediterraneo a migranti e rifugiati, molto spesso non tenendo conto delle implicazioni sui diritti umani. A tutto questo bisogna aggiungere i costi dell’intelligence e dell’Interpol relative alle indagini antiterrorismo.
Un grave problema è quello dell’identificazione dei richiedenti asilo, che può avere anche importanza nell’ambito dell’intelligence antiterrorismo. Molti profughi sono addestrati a sfuggire alle fotosegnalazioni e al rilevamento delle impronte digitali per poter arrivare nei paesi del Nord Europa. Secondo il giornalista del Corriere della Sera Marco Galluzzo la cifra del fallimento europeo e italiano sulla mancata identificazione degli arrivi su coste italiane o greche o lungo il tracciato di altri confini si aggirerebbe intorno al 60-70 per cento.
L’incapacità di identificazione provoca anche una mancata applicazione del “regolamento di Dublino”, volto a individuare lo Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo. Il tutto ha causato tensioni politiche in Europa, con i paesi dell’Unione che vorrebbero che l’Italia fornisse garanzie di identificazione e fotosegnalazione. Ma la stessa gestione delle domande d’asilo presenta criticità. “In Italia la capacità di smaltimento delle pratiche è quattro volte inferiore a quella della Germania, che nell’ultimo anno e mezzo ha fatto fronte a un numero di migranti tre volte superiore”, scrive Claudio Gatti sul Il Sole 24ore. Ogni Paese interno alla Ue sta quindi decidendo autonomamente su come gestire i migranti. Muri e chiusura delle frontiere interne stanno così bloccando i flussi migratori verso il Nord-Europa, mentre in Italia e Grecia, come denuncia l’ong Amnesty International “il sistema di accoglienza è al collasso”.
Il business dei migranti
Infine bisogna considerare che la multinazionale criminale che gestisce la tratta di uomini aumenta il suo business: un giro d’affari complessivo di 60 milioni di dollari l’anno. Mentre i morti crescono giorno dopo giorno non si fermano le indagini per sgominare il fitto tessuto criminale che, lucrando sulla disperazione delle persone, mette a rischio la vita di decine di migliaia di migranti. Uno studio condotto da due economisti italiani, Carlo Amenta e Paolo Di Betta, e da un magistrato della Dda di Palermo, Gery Ferrara, presentato a Cambridge evidenzia come a dispetto di tutte le operazioni condotte – quali Mare Nostrum e Triton – il business dei trafficanti di uomini è in progressivo aumento.
Lo studio ha analizzato le indagini “Glauco 1” e “Glauco 2”, condotte dalla polizia di Stato sotto la direzione della procura di Palermo, da cui emerge in maniera dettagliata il funzionamento di una organizzazione criminale dedita alla organizzazione del viaggio dei migranti clandestini dai paesi del Centro Africa, fino alle coste della Libia e per l’Italia. Il profitto complessivamente generato da queste operazioni resta molto elevato anche considerando i costi relativi al vitto ed alloggio dei migranti trattenuti sulle spiagge della Libia, quelli della manodopera legata alla sicurezza, ai rapimenti ed alle altre mansioni e quelli legati all’acquisto delle barche per gli spostamenti. Secondo le ricostruzioni fatte dagli investigatori, ogni migrante doveva pagare tra i 4mila e i 5mila euro per il viaggio verso i paesi del Nord Europa, solitamente attraverso la Libia e l’Italia.
Il business dei migranti non coinvolge però solo la malavita internazionale. Sono ben 14 le procure che hanno aperto fascicoli sulla gestione poco trasparente dei centri d’accoglienza per i migranti che sbarcano in Italia. “Profugopoli”, si intitola il nuovo libro di Mario Giordano, non ci sono solo i barconi, gli scafisti. Gli sbarchi sono una spesa colossale a carico dello Stato che si traduce in un business da tre miliardi di euro. Che vanno a enti meritevoli e a soggetti meno meritevoli, che approfittano dei profughi per fare affari d’oro. Nel 2016 l’intervento delle ong ha permesso di soccorrere il 28 per cento delle persone in mare. Nel corso del 2016, in realtà, la maggior parte degli interventi sono stati operati dalla Guardia Costiera italiana, da unità dell’agenzia europea Frontex e dai mezzi militari dell’operazione Eunavfor Med e della Marina Militare (Sophia).
I numeri degli arrivi
In tutto questo il flusso dei migranti continua quindi ad essere un dramma per migliaia di persone che continueranno ad essere la merce per l’arricchimento di persone senza scrupoli. Per quanto riguarda i numeri sembra che il flusso migratorio sia costante. Secondo i dati resi noti a Ginevra dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni, nel 2017 sono 25mila le persone sono sbarcate in Italia.
Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno il totale degli arrivi via mare verso l’Europa è salito a 29.369, oltre l’80 per cento dei quali in Italia (il 25 per cento in più). Ma facendo i calcoli su un periodo più lungo i numeri rilevano proiezioni meno allarmanti. Secondo i dati di Frontex pubblicati a marzo 2017 e relativi gli arrivi di migranti verso l’Ue aggiornati al mese di febbraio, il flusso migratorio sembrava addirittura in calo rispetto a un anno fa, pari a meno di un decimo di quelli del febbraio 2016.
Considerando i primi cinque mesi del 2016, inoltre, vediamo che in confronto agli stessi mesi del 2015 il numero degli arrivi non presenta grandi differenze (46.714, contro i 47.463). Come è facilmente percepibile basta spostare il mese di riferimento per avere curve più o meno in crescita. Quindi come avviene ogni anno i confronti mensili sono fuorvianti rispetto alla più corretta valutazione di una proiezione annuale. Ma ulteriori informazioni di Eurostat con i risultati delle banche dati ufficiali arriveranno appena ad agosto 2017.
In ogni caso non possiamo evitare di considerare il dramma personale o collettivo di queste persone disgraziate in cerca di salvezza. Non dimentichiamo che solamente dal mese di gennaio 2017 sono morte affogate nel mediterraneo 663 persone. E che da ottobre 2013 sono più di 13mila gli uomini, donne e bambini ormai sepolti nel “mare nostrum” che di azzurro ormai non può più avere nulla.
Sono nomi e volti che non conosceremo mai, eppure hanno perso la vita nell’ultima tappa di un viaggio durissimo intrapreso per l’impossibilità di continuare a vivere nel proprio paese e dalla speranza di trovare, altrove, uno territorio per vivere in pace. Vite scappate da guerre, torture, discriminazioni, violenze. Si tratta di storie di tante persone che, troppo spesso, passano sotto silenzio: troppo grande il trauma per poterlo raccontare, troppo de-umanizzata la narrazione dell’immigrazione per poterci concentrare sulle singole storie.
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