Nessun uomo sa cosa significa portare un reggiseno per dodici ore consecutive. Nessun uomo sa cosa provino alcune donne nel sentire come i ferretti costringano il seno e il torace. Nessun uomo sa cosa si prova a dover indossare un cimelio che, in alcuni casi, poco si discosta dal corsetto delle dame del Settecento. Per questo, nessun uomo ha il diritto di giudicare la decisione di alcune donne di smettere di portarlo.
Già verso la fine dell’Ottocento il sociologo americano Thorstein Veblen descriveva il busto come “strumento di mutilazione, al fine di ridurre la vitalità del soggetto”. Lungi da me il voler politicizzare la scelta di liberare il seno dal tanto odiato “reggipetto”, decisi all’età di 17 anni di smettere di portarlo. Stanca di soffrire inutilmente e di sentirmi chiusa dentro una gabbia, tutti i giorni, per tutto il giorno.
Libera, finalmente. Mi ero riguadagnata quella vitalità che secondo Veblen ci è stata tolta. E quella fu, senza dubbio, una delle decisioni più sagge prese fino a oggi. Ho messo davanti a ogni convenzione sociale, la comodità e la libertà di poter scegliere che cosa fare del mio corpo. A casa, in strada e in spiaggia. Davanti ai miei amici, ai miei genitori, e a tutti gli esseri umani che popolano questo pianeta. Senza paura e senza vergogna.
Certo, scampare alle critiche è stato più difficile che sganciare i ferretti dell’ultimo reggiseno indossato e buttarlo via. “Ma dove vai conciata così? Ti si vedono i capezzoli”. Questo il mio peccato. E questa, una delle frasi che mi sono sentita dire più spesso, negli ultimi anni, nonostante io non abbia mai chiesto il parere del prossimo, riguardo alla mia decisione. O riguardo ai miei capezzoli.
Un mantra silenzioso, la maledizione che segue alla decisione di ribellarsi, almeno un po’, a quello che in quanto donne ci viene imposto da sempre. La critica, costante e invadente, di chi non riesce a immaginare un futuro senza censure e forse invidia segretamente chi si è spogliato dai pregiudizi e gira nudo e libero. Senza imporlo agli altri, ma senza mai vergognarsi di mostrare una parte di sé.
La mia colpa? Sto provocando gli uomini. Voglio esibirmi, apparire. Provocare. Un uomo può girare a torso nudo per strada d’estate, ma se lo facessi io sarei una pazza, una strega di Salem, un’eretica, per la maggior parte degli italiani, degli spagnoli e degli uomini nel mondo. Gli stessi che sessualizzano il mio corpo a ogni costo e anziché guardarmi in faccia, virano lo sguardo in basso, spaventati e segretamente indignati, come se non avessero mai visto un paio di tette nella loro vita.
Gli stessi che al mare mi guardano straniti, come se fossi una figurina pornografica animata, ritagliata dalle pagine di Playboy, anziché una semplice ragazza che ha scelto liberamente di sdraiarsi al sole come più preferisce. E magari alcuni di loro si sentono pure liberi di umiliare le donne nel privato, o nei gruppi Facebook dove veniamo gettate in pasto a orde di maiali, e sono sempre pronti e giudicanti dinanzi a un seno scoperto al mare. Forse perché a deciderlo siamo state noi. E non loro.
Come le tre ragazze argentine, che, come me, si sono prese la libertà di mostrare il seno in una spiaggia pubblica, in una giornata come le altre. In tante sappiamo che chi sceglie il topless non vuole dimostrare niente a nessuno, ma semplicemente godere del sole, della brezza del mare e della natura, come farebbero tutti gli uomini, che non si sentono costretti a coprire i capezzoli con due noci di cocco. Loro sì, ma noi no. La solita storia di sempre.
In tante sappiamo che mostrare il proprio torso al mare non è reato. E lo sa anche la poliziotta che qualche giorno fa ha invitato le tre giovani ragazze a lasciare la spiaggia di Nocochea, in Argentina, ree di aver scoperto il seno davanti a tutti. Ma lo continueremo a mostrare, perché non poterlo fare lede i nostri diritti e perché dover indossare per forza un reggiseno o un costume a tutti i costi è anch’essa una forma di violenza.
“Finirò in manette per aver mostrato le tette”, si ripete e si chiede con ironia una delle ragazze incriminate. La sua risata e il suo coraggio sono un gesto rivoluzionario, in un paese in cui le sedicenni sono impalate a morte e le forze dell’ordine minacciano di ammanettare e multare le donne, colpevoli di essere libere.
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