Dopo Medici Senza Frontiere, Save the Children e Sea Eye, anche l’Ong Moas ha deciso di sospendere le proprie operazioni di soccorso al largo della Libia, dopo che il governo di Tripoli ha deciso di istituire una propria zona di Search and Rescue nel Mediterraneo, un tratto di mare cioè in cui la guardia costiera libica avrà il potere di coordinare gli interventi umanitari.
Moas – Migrant Offshore Aid Station – fondata a Malta, è stata la prima organizzazione della società civile a operare nel Mediterraneo ed è una delle più avanzate dal punto di vista della tecnologia utilizzata.
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“Non è chiaro cosa succeda in Libia ai danni delle persone più vulnerabili i cui diritti andrebbero salvaguardati. Pertanto, abbiamo deciso di sospendere la nostra missione di ricerca e soccorso nel Mediterraneo”, scrive Regina Catrambone, Co-Fondatrice e Direttrice MOAS.
“Moas non vuole diventare parte di un meccanismo in cui, mentre si fa assistenza e soccorso in mare, non ci sia la garanzia di accoglienza in porti e luoghi sicuri. Perché non si dà priorità a chi merita protezione, ma si pensa solo a evitare che le persone arrivino sulle coste europee senza chiedersi quale destino le aspetti”.
Durante la nostra missione 2017 iniziata lo scorso aprile abbiamo salvato e assistito 7.826 vite umane. Fra queste 2.820 solo nel mese di aprile quando abbiamo affrontato sfide senza precedenti, ripagate soltanto dalla gioia di vedere le persone finalmente salve.
Al momento sono troppe le domande senza risposta e i dubbi in merito al destino di chi è intrappolato o viene riportato in Libia”.
La Ong fa sapere di aver cambiare rotta, e di aver intrapreso una nuova missione il 4 settembre con la nave del Moas, Phoenix, nel Golfo del Bengala per distribuire aiuti e assistere e aiutare le persone più vulnerabili che sono state colpite dalle violenze in corso.
Allo stato attuale restano attive nel Mediterraneo solo 4 Ong: Proactiva Open Arms, Sea Watch, Sos Mediterranée e LifeBoat.
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