Sono gli zingari a rapire i bambini, si sa. Almeno questo è quello che vuole il luogo comune, o – più correttamente – il pregiudizio. Ma la realtà è ben diversa, e a dimostrarla ci sono una serie di studi scientifici.
Dopo il successo della fiction L’amore strappato, in onda su Canale 5, ispirata alla storia vera di un terribile errore giudiziario, abbiamo deciso di approfondire il tema dei minori allontanati dalla famiglia e di farlo anche dal punto di vista di una minoranza, quella dei rom che vivono in Italia.
Ma andiamo con ordine. È vero che i rom rapiscono i bambini? Per analizzare questa affermazione la Fondazione Migrantes alcuni anni fa ha commissionato uno studio al Dipartimento di Psicologia e Antropologia culturale dell’Università degli Studi di Verona.
Il risultato della ricerca si trova nel libro intitolato La zingara rapitrice di Sabrina Tosi Cambini (seconda edizione riveduta e ampliata, CISU, Roma, 2015).
L’autrice ha analizzato una serie di casi a partire dall’archivio ANSA, nel periodo di tempo intercorso tra il 1986 e il 2007, e andando poi a consultare i fascicoli giudiziari.
Dalla ricerca è risultato che “nell’arco di tempo considerato in nessun caso i giudici hanno confermato che un rapimento fosse stato portato a termine, limitandosi a sparute condanne per reato tentato”. Anche in riferimento a quest’ultime condanne, l’indagine “solleva molti interrogativi sull’adeguatezza dell’esame delle prove addotte a sostegno delle accuse”.
In altre parole, nessuna persona rom in questi casi è stata condannata per rapimento, e anche quando è arrivata una condanna per “tentato rapimento”, le prove a sostegno delle accuse sollevano molti dubbi. Questo basta per escludere che esista un fenomeno riguardante i rom che rapiscono i bambini.
Per quanto riguarda i minori rom tolti alle famiglie, ne abbiamo parlato con Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio, che si occupa da anni di diritti umani con particolare attenzione alle minoranze rom e sinti: “Ciò che emerge è che non è vero che i rom rubano i bambini, ma c’è sicuramente un flusso di bambini da un gruppo umano a un altro gruppo umano, dai numeri fortemente preoccupanti”.
Anche in questo caso, a parlare sono i dati. Uno studio di Carlotta Saletti Salza intitolato, Dalla tutela al genocidio? Le adozioni dei minori rom e sinti in Italia (1985-2005) e pubblicato da CISU, Roma 2010, analizza i casi di minori rom allontanati dalle famiglie da 7 tribunali per minori in Italia.
Complessivamente, nell’arco di trent’anni, i minori rom e sinti dichiarati adottabili registrati nelle 7 sedi dei Tribunali minorili in cui si è svolta la ricerca sono stati 258. Presso questi tribunali un minore rom avrebbe oltre 17 probabilità in più di essere dichiarato adottabile rispetto a un minore non rom.
“Nella prefazione del libro si citano diversi altri casi”, spiega Stasolla, “dagli aborigeni australiani agli indiani d’America, di minoranze diventate bacino di adozioni per le società maggioritarie. Non è un fenomeno che riguarda i bambini poveri italiani o i minori rom, ma sempre dove ci sono state delle minoranze nel cuore di società maggioritarie, queste sono diventate entità da cui sono partiti flussi di bambini. Guardiamo le adozioni internazionali, l’Italia non adotta bambini americani, adotta minori che vengono da paesi poveri. La correlazione è chiara”.
Questo studio è stato integrato con una ricerca intitolata Mia madre era rom e condotta tra il 2012 e il 2013 dall’Associazione 21 luglio e basata sui casi presso il Tribunale dei minori di Roma, che era uno di quelli mancanti nel precedente libro, tra il 2006 e il 2012.
“L’esito è stato sorprendente”, dice a TPI Carlo Stasolla. “Nel Lazio i minori rom hanno 60 possibilità in più di essere avviati al procedimento che conduce all’adozione”.
In particolare, dal rapporto si evince che “un minore rom ha circa 60 possibilità in più di essere segnalato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, circa 50 possibilità in più che per lui venga aperta una procedura di adottabilità e quasi 40 possibilità in più di essere dichiarato effettivamente adottabile”.
“Al di là del dato numerico, è interessante rilevare che nelle relazioni degli assistenti sociali e nelle sentenze emerge una non-conoscenza e anche talvolta un pregiudizio di queste figure professionali, che condiziona le scelte dei giudici”, puntualizza Stasolla.
Per quanto riguarda i motivi per cui i minori vengono sottratti alle famiglie, questi sono molto vari.
Analizzando un campione di 49 casi, il rapporto evidenzia che le condizioni di salute – sia dei figli che dei genitori – costituiscono l’elemento più frequente delle storie di allontanamento dei minori rom dalle proprie famiglie di origine (30 per cento).
Di questi, nel 43 per cento di questi casi è il Tribunale per i minorenni a procedere con l’allontanamento, contrariamente alla volontà dei genitori, mentre nel 57 per cento sono gli stessi genitori a dichiararsi non in grado di crescerli.
Il secondo motivo di allontanamento (25 per cento) riguarda la violenza domestica, con “casi in cui la violenza domestica o i maltrattamenti dei compagni sulle madri provocano una forte instabilità familiare in grado di compromettere le capacità
genitoriali”.
Un altro motivo di allontanamento è costituito dall’indigenza e dal degrado ambientale (12 per cento), anche se secondo la legge teoricamente le precarie condizioni economiche non dovrebbero essere tra le cause del provvedimento.
“L’indigenza economica non dovrebbe essere tra i motivi dell’allontanamento”, conferma Stasolla, “in caso di indigenza la famiglia ha diritto a un supporto economico e sociale, come previsto dall’articolo 38 della Costituzione, non dovrebbe trovarsi in una situazione in cui i figli vengono allontanati”.
“Il rapporto della Commissione bicamerale Infanzia della scorsa legislatura fa emergere come ci sia una stretta correlazione tra l’allontanamento dei bambini e la situazione socio-economica”, prosegue il presidente della 21 luglio.
“Chi ha più strumenti economici ha più tutele, sia perché vive in casa, quindi è meno visibile, sia perché ha i mezzi per uscirne. Invece nelle famiglie che vivono una situazione di indigenza, la segnalazione si traduce poi in un allontanamento che diventa definitivo, perché non ci sono gli strumenti per pagare un buon avvocato, o non si comprende a livello linguistico o concettuale come funziona una pratica di allontanamento. È una corsa a ostacoli per un genitore che versa in condizioni di indigenza”.
C’è un legame tra il fatto di vivere nei campi e il numero delle segnalazioni? “Assolutamente sì”, risponde Stasolla, “perché alle condizioni economiche precarie si somma anche un pregiudizio da parte di chi è chiamato a relazionare, per cui legge un determinato comportamento come inadeguatezza genitoriale”.
Qual è la situazione attuale quindi?
“Siamo profondamente preoccupati”, ammette il presidente della 21 luglio, “nel contratto di governo, quando si parla di rom si propone anche di togliere la patria potestà ai genitori di quei bambini che non vanno a scuola. Oltre a essere un fatto discriminatorio, perché andrebbe applicato a tutti i bambini – rom e non – già questo fatto sottende che ci sono genitori inadeguati e quindi va tolta loro la potestà”.
“Non ci sono colpe specifiche, non è colpa degli assistenti sociali”, sostiene. “È il sistema che non mette in condizione i giudici di poter leggere il fenomeno in modo corretto e prendere quindi le giuste decisioni.
“L’Italia non dispone oggi di strumenti efficaci per far sì che ci siano valutazioni corrette del fenomeno. Detto in modo molto grossolano: lo Stato ti mette in un campo, poi lo stesso Stato viene a dirti che quel posto è inadeguato e ti toglie il bambino. È quasi un circolo vizioso, occorrerebbe invece formazione, conoscenza e lettura del fenomeno, oltre a comprensione e ascolto delle famiglie”.