“Nascere maschi in un sistema patriarcale e maschilista è un po’ come essere figli maschi di un boss mafioso”. Lo scrive sul suo profilo Facebook Michela Murgia.
Il post della scrittrice è destinato a far discutere.
“Succede sempre così: i giorni dopo la giornata internazionale contro la violenza maschile sulle donne parecchi uomini con intenzioni anche solidali si mettono regolarmente a dire: ‘però basta con questa colpevolizzazione del maschile in sé, non siamo tutti maschilisti, io per esempio non lo sono, non ho mai picchiato una donna, non voglio scusarmi per le colpe di un intero genere. Ciascuno risponda di sé’. E’ un po’ più complicato di così”, scrive Murgia.
“Nascere maschi in un sistema patriarcale e maschilista è un po’ come essere figli maschi di un boss mafioso. Non sai nemmeno cosa sia la mafia, ma da quel momento tutto quello che mangerai, berrai, vestirai verrà dall’attività mafiosa”, prosegue Murgia.
“È colpa tua se sei nato in casa di un mafioso? Ovviamente no. Non sei tu il capomafia, non hai fondato tu la cosca, non hai murato bambini nei piloni, non hai ucciso giudici con l’esplosivo, non spacci droga e non chiedi il pizzo a nessuno. Però vivi lì e se hai occhi e orecchie da un certo punto in poi non potrai più dire: non sapevo con chi stavo vivendo”.
Il post, in meno di un giorno, ha già ricevuto 2mila condivisioni e suscitato 1.500 commenti.
Non tutti sono benevoli, come non era difficile da immaginare. “Ma che ragionamento è? – scrive un utente – La mafia mica è un fattore genetico. Essere maschi è come essere femmine, un dato biologico. Mi chiedo in quale presa elettrica lei abbia infilato le dita, perché lo shock è stato bello forte”.
“Responsabilità penale DI GENERE. Mica male. Io vorrei realmente conoscere chi le ha conferito la Licenza Media”, è un altro dei commenti polemici.
Questa è l’argomentazione con cui Michela Murgia spiega il suo parallelismo nel post.
“Hai indossato gli abiti che nessuno dei tuoi amici poteva permettersi, hai studiato in scuole esclusive, quando sei stato male ti ha accolto la sanità che nessun sistema statale può offrire, non hai mai preso un pugno da un compagno né una nota sul registro quando il pugno lo hai dato tu e la gente per strada ti saluta con un rispetto che nessuna delle tue azioni giustificherebbe. Fino a quando potrai fare finta che tutto questo avvenga per ragioni diverse dal fatto che sei figlio del boss?”
“Verrà un momento in cui avrai davanti tre scelte possibili e due sono molto chiare: tradire il boss o diventare il boss. Ce n’è però una terza, più sfumata e furba: restare ‘figlio del boss’ senza assumersi responsabilità operative, godendo lo stile di vita che deriva dall’attività criminale senza però commettere mai direttamente un crimine”.
“Altri uccideranno, altri spacceranno e faranno prostituire, altri si comprometteranno. Tu continuerai a dire: ‘cosa c’entro io? Perché guardi me? Non ho mai ammazzato nessuno, mai nemmeno tirato di coca, figurati venderla!’ Per tutta la vita si può mangiare miele senza dover essere l’ape e arrogarsi il diritto di essere considerati responsabili solo delle PROPRIE azioni. E’ innocenza? No, perché il sistema mafioso si regge da sempre sulla pacifica passività di migliaia di persone che di mestiere non fanno i mafiosi”.
“La legittimazione della mafia è implicita nella mancanza di reazione ostile di chi accanto al mafioso vive e forse persino prospera. L’unica risposta onesta alla mafia è combattere la mafia, non lasciarla lavorare senza immischiarsi. Come nel maschilismo, si nasce già immischiati. Nessuno è innocente se crede di dover rispondere solo di sé”.