Nel corso dell’assemblea del Partito Democratico del 18 dicembre 2016 il segretario Matteo Renzi ha proposto di riprendere il Mattarellum come nuova legge elettorale. Questa legge è già stata in vigore tra il 1993 e il 2005 e utilizzata per le elezioni politiche del 1994, 1996 e 2001.
La necessità di una nuova legge elettorale si è palesata con la bocciatura del Ddl Boschi da parte degli italiani nel corso del referendum del 4 dicembre, con cui è stato mantenuto il bicameralismo paritario e il Senato con gli stessi poteri della Camera, fatto che ha reso obsoleta la legge elettorale nota come Italicum, pensata e approvata per la sola Camera e non esportabile al Senato, dove sortirebbe effetti differenti.
Al momento il Mattarellum è solo una proposta di Renzi, quindi non sappiamo se effettivamente sarà approvato e, nel caso, se tornerà così com’era tra il 1993 e il 2005 o con alcune modifiche. In attesa degli sviluppi parlamentari di questa proposta, è utile esaminare cos’è e come funziona il Mattarellum.
COME E QUANDO NACQUE IL MATTARELLUM
Il referendum del 1993 aveva abrogato la legge elettorale del Senato, con l’obiettivo di introdurre un nuovo sistema elettorale di tipo maggioritario. Per questa ragione, nell’agosto del 1993 venne approvata una legge elettorale su proposta dell’allora deputato e oggi presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Per questa ragione, la legge divenne nota come Mattarellum. Un altro appellativo che la legge elettorale ricevette fu quello di “Minotauro”, dal momento che come il personaggio mitologico era in parte uomo e in parte toro, questa legge era in parte maggioritaria e in parte proporzionale.
Nel 2005 la legge elettorale fu sostituita dalla legge Calderoli, nota come Porcellum.
TRE QUARTI MAGGIORITARIO, UN QUARTO PROPORZIONALE
Sia per quanto riguarda la Camera che per quanto riguarda il Senato, la caratteristica del Matterellum è quella di essere un sistema elettorale misto a prevalenza maggioritaria che prevede che i due terzi dei seggi (475 a Montecitorio, 232 a Palazzo Madama) vengano assegnati con un sistema maggioritario attraverso collegi uninominali in cui il candidato più votato risulti eletto, mentre i restanti seggi sono assegnati con un sistema proporzionale differente tra le due camere.
L’ELEZIONE DELLA CAMERA: LA PARTE MAGGIORITARIA
Come abbiamo detto, 475 seggi della Camera dei deputati sono assegnati attraverso un sistema maggioritario. L’intero territorio italiano è suddiviso in 475 collegi – ciascuno dei quali con all’incirca 100mila aventi diritto al voto – in ognuno dei quali si svolge un’elezione a sé con candidati differenti. In ciascuno di questi collegi, il candidato più votato viene eletto deputato.
La parte maggioritaria rispecchia dunque esattamente lo stesso sistema elettorale del Regno Unito e della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, con collegi uninominali e elezioni a turno unico senza ballottaggio.
In ciascun collegio, ogni partito può presentarsi sia con il proprio simbolo che in coalizione con altri partiti, scegliendo di esporre un simbolo comune o tutti i simboli dei partiti a sostegno del candidato.
L’ELEZIONE DELLA CAMERA: LA PARTE PROPORZIONALE
Oltre ai 475 seggi assegnati con il sistema maggioritario, ci sono gli altri 155 seggi della Camera assegnati con il sistema proporzionale. Essi vengono attribuiti su base nazionale a tutte le liste che abbiano ottenuto almeno il 4 per cento dei voti validi.
I candidati eletti con il proporzionale saranno quelli indicati nelle liste bloccate nelle 26 diverse circoscrizioni italiane. Per poterli votare, all’elettore è fornita una seconda scheda della camera, diversa da quella in cui ha votato i collegi uninominali e in cui sono presenti i simboli delle liste per la sola quota proporzionale, che rappresentano quindi un voto diverso da quello all’uninominale e completamente scollegato da esso.
Questo meccanismo, tuttavia, subisce alcune alterazioni attraverso il complesso meccanismo dello scorporo, cui abbiamo deciso di dedicare una sezione a parte.
LO SCORPORO
Nell’ambito della già descritta assegnazione dei seggi elettorali per la Camera a livello proporzionale, possono esserci alcune alterazioni rispetto al voto attraverso un meccanismo di riequilibrio in favore dei partiti più penalizzati dal maggioritario. Questo meccanismo è chiamato “scorporo”.
Il maggioritario, infatti, tende a premiare i partiti più grandi e più radicati in un territorio specifico, penalizzando i più piccoli e quelli medi dal consenso diffuso ed equilibrato in tutto il paese.
Il meccanismo dello scorporo prevede che ogni candidato nei collegi uninominali debba essere formalmente collegato a una lista del proporzionale. Qualora un candidato venga eletto nel suo collegio, i voti da lui ottenuti vengono sottratti a quelli della lista cui è collegato.
Facciamo un esempio concreto: se Mario Rossi è collegato al Partito dei Quadrati e viene eletto con 35mila voti, questi 35mila voti vengono sottratti ai voti complessivi ottenuti dal Partito dei Quadrati. I partiti che eleggono molti deputati nei collegi, dunque, potrebbero vedere fortemente ridotto il proprio risultato nella quota proporzionale.
Nel 2001, centrodestra e centrosinistra trovarono un escamotage per aggirare questa regola. La maggior parte dei candidati che facevano riferimento ai grandi partiti delle due coalizioni, infatti, non risultavano collegati a Democratici di Sinistra o Forza Italia, ma a due liste sconosciute ai più: Paese Nuovo per il centrosinistra e Abolizione Scorporo per il centrodestra. Si trattava di due famigerate “liste civetta”.
L’obiettivo di queste liste era quello di ottenere meno voti possibili, complice anche la totale assenza di campagna elettorale e il simbolo più anonimo e meno accattivante possibile, in modo tale che i voti ottenuti dai candidati collegati a tali liste non andassero a inficiare il consenso dei partiti più grandi, aggirando di fatto il meccanismo dello scorporo.
Nel caso del centrodestra, l’esito delle liste civetta arrivò a un surreale paradosso. Visto l’ampio consenso raggiunto dalla coalizione in quelle elezioni e i numerosi candidati collegati alle liste civetta, nelle reali liste di Forza Italia non erano presenti abbastanza candidati da permettere di assegnare loro tutti i seggi ottenuti.
L’ELEZIONE DEL SENATO: LA QUOTA UNINOMINALE
Come alla Camera, anche al Senato i due terzi dei seggi – in questo caso 233 – vengono con il Mattarellum assegnati attraverso collegi uninominali. Questo ramo del parlamento, diverso per composizione (315 senatori eletti anziché 630 deputati) e per base elettorale (per votarlo servono 25 anni e non 18), prevede quindi collegi con un numero di elettori più alto, grossomodo tra i 180mila e i 200mila.
L’ELEZIONE DEL SENATO: IL RIPESCAGGIO PROPORZIONALE
Diversamente dalla Camera, dove i seggi proporzionali vengono assegnati attraverso una competizione a parte, per il Senato questa quota è assegnata in maniera differente. Per quanto riguarda la camera alta, infatti, la costituzione prevede che i seggi non possano essere assegnati su scala nazionale, ma solo su scala regionale. Per questa ragione, come nel caso dell’Italicum, anche con il Mattarellum esiste una differenza sugli effetti del voto tra Camera e Senato.
Il Mattarellum adotta dunque il sistema del ripescaggio proporzionale. In ciascuna regione, vengono sommati i voti dei candidati non eletti, partito per partito, e nell’ambito del risultato che viene fuori attraverso i soli non eletti si attribuiscono i seggi mancanti attraverso il metodo D’Hondt, una forma di proporzionale.
SE UN PARLAMENTARE SI DIMETTE? LE ELEZIONI SUPPLETIVE
Con la legge elettorale usata dall’Italia nel 2006, 2008 e 2013 – il cosiddetto Porcellum – quando un parlamentare interrompeva prematuramente il proprio mandato per dimissioni o cause di forza maggiore, era molto lineare ciò che sarebbe successo: gli sarebbe subentrato il primo dei non eletti in quella lista. E per quanto riguarda gli eletti nella quota proporzionale di Camera e Senato è esattamente ciò che succedeva anche con il Mattarellum.
Diverso è invece ciò che succedeva se a interrompere il mandato prematuramente era un parlamentare eletto nella quota maggioritaria. Ciò che avveniva, in quel caso, erano le elezioni suppletive.
Sostanzialmente, si ripetevano le elezioni nel collegio del parlamentare dimissionario. Chi avrebbe vinto gli sarebbe subentrato, portando a termine la legislatura al posto del predecessore il cui mandato era stato interrotto.
COSA POTREBBE CAMBIARE
Qualora il Mattarellum dovesse realmente essere di nuovo adottato dal parlamento italiano come legge elettorale, a undici anni dalla sua abrogazione possiamo immaginare che alcuni elementi verranno modificati alla luce dei cambiamenti politici e demografici avvenuti nel paese.
Una differenza che si verificherebbe senz’altro sarebbe l’inserimento in questa legge elettorale dei seggi per gli italiani all’estero. Nel 2001, quando si votò per l’ultima volta con il Mattarellum, la costituzione ancora non aveva introdotto i seggi per gli italiani residenti all’estero, esistenti dal 2006.
Possiamo immaginare che essi – che manterrebbero comunque il loro sistema proporzionale di elezione – verrebbero inseriti a scapito di 12 seggi proporzionali alla Camera e 6 proporzionali al Senato.
Un’altra differenza potrebbe riguardare lo scorporo nella quota proporzionale della Camera, dal momento che come abbiamo sopra descritto, questo era stato vanificato dall’uso strumentale delle cosiddette liste civetta. Questa vulnerabilità potrebbe portare a una sua correzione o abolizione.
Ci si potrebbe poi aspettare una revisione dei confini dei collegi uninominali, dal momento che dal 2005 a oggi la demografia dell’Italia ha subito alcuni cambiamenti e perciò si potrebbe pensare di apportare alcune modifiche per evitare eccessivi squilibri di popolazione tra collegio e collegio.
GLI OBIETTIVI E GLI EFFETTI DELLA LEGGE
Il Mattarellum è un sistema elettorale misto e, come tale, tiene conto delle necessità di diverse tipologie di formazioni politiche. In primo luogo, avendo una componente predominante di maggioritario, favorisce gli schieramenti più grandi, e nel sistema politico attuale possiamo dire che venga incontro sia al Pd, sia al Movimento cinque stelle che al centrodestra.
Sono favoriti anche i partiti più piccoli ma con un forte radicamento territoriale, si pensi solo al Sudtiroler Volkspartei – gli autonomisti dell’Alto Adige – che a fronte di uno 0,5 per cento dei voti nazionali sono sempre riusciti a imporsi in tre seggi in provincia di Bolzano, o alla Lega Nord che, quando corse da sola nel 1996, ottenne un ampio numero di seggi nel nord Italia.
La quota maggioritaria predominante, però, svantaggia i partiti fuori dalle coalizioni, soprattutto quelli medio piccoli e non radicati in un territorio in modo più specifico. Per evitare uno squilibrio eccessivo, le loro necessità sono rappresentate dalla quota proporzionale. Questa consente loro di non essere esclusi dal parlamento, grazie anche al meccanismo dello scorporo che prevede un riequilibrio.
Il timore dei piccoli partiti di restare esclusi dal parlamento e la necessità dei grandi di prendere più voti possibili, però, ha spesso favorito l’allargamento delle alleanze, con il rischio di creare le cosiddette “accozzaglie”, coalizioni che rischiano di essere eterogenee, ma questo sta anche alle decisioni dei singoli partiti e al sistema politico del momento.
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