Non sappiamo ancora, e probabilmente non sapremo mai, le esatte circostanze che hanno portato all’uccisione del ricercatore italiano Giulio Regeni, al Cairo. Non sappiamo ancora, anche se possiamo ipotizzarlo, chi lo ha ammazzato e perché.
Regeni, da studioso appassionato, aveva contatti con i sindacati e movimenti d’opposizione egiziani che il regime bonapartista di Al-Sisi— salito al potere con un “golpe popolare” nel 2013—considera spine nel fianco. Alla sua attività accademica, Regeni affiancava quella di reporter, scrivendo da freelance per il Manifesto, spesso sotto pseudonimo.
Ribadisco: sappiamo ancora troppo poco sulla morte di Giulio per dire se quegli articoli abbiano contribuito a metterlo sul radar di chi lo ha poi torturato e ucciso. Ma il caso Regeni deve essere un’occasione per riflettere sui rischi corsi da troppi freelance italiani—spesso senza alcuna esperienza giornalistica pregressa— in contesti mortali.
L’Egitto è un paese dove—come scrive Alessandro Accorsi su Repubblica— almeno 340 persone sono state fatte sparire in meno di tre mesi; e dove, come abbiamo riportato su TPI in un altro articolo, tra il 2013 e il 2015 sono state uccise centinaia di persone e ne sono state arrestate oltre 41mila.
Un paese retto da un regime che non si fa scrupoli a uccidere o incarcerare giornalisti; una nazione cui l’azienda di sicurezza informatica italiana Hacking Team avrebbe fornito gli strumenti per sorvegliare le comunicazioni elettroniche dei suoi cittadini.
In circostanze del genere, un semplice pseudonimo aggiunto in calce agli articoli serve quanto un paravento contro i proiettili. È probabile che gli articoli vengano letti ben prima della pubblicazione.
L’unico modo di essere sicuri che le proprie comunicazioni (con un giornale, con una fonte, con chiunque) non vengano intercettate e non attirino l’attenzione è utilizzare software specifici (PGP, o GPG, che è gratuito) che crittografano ogni email, rendendola illeggibile a chi non sia il mittente o il destinatario.
Quali di questi software ha utilizzato Giulio per inviare i suoi articoli, potenzialmente incriminanti agli occhi delle autorità egiziane? Anche in questo caso la risposta è “non lo sappiamo.” Ho inviato una mail al Manifesto chiedendo delucidazioni, ma finora non ho ottenuto risposta.
Tirando a indovinare, direi che non ne ha utilizzato nessuno. Giornalisti esperti ancora stentano a padroneggiare strumenti del genere, e Giulio era un dottorando, non un giornalista.
È inutile dire che la responsabilità di insegnare a Giulio come proteggersi ricade unicamente su chi accettava e pubblicava i suoi pezzi (anche perché PGP e GPG richiedono che entrambi gli interlocutori li utilizzino).
Alla prima mail ricevuta da un giovane desideroso di raccontare un paese governato da un brutale regime, il redattore di turno avrebbe immediatamente dovuto istruirlo sull’uso di questi essenziali strumenti.
Il funzionamento e la stessa esistenza della crittografia, in Italia, sono relegati al regno del nerdismo giornalistico. Non è così altrove: testate anglosassoni come VICE e The Intercept equipaggiano tutti i loro dipendenti con indirizzi mail crittografati.
In parte per motivi professionali: se il fondatore del The Intercept Glenn Greenwald non avesse—con riluttanza—scaricato PGP, Edward Snowden non gli avrebbe mai inviato i documenti che valevano un Pulitzer. Ma soprattutto, la crittografia serve a tutelare i giornalisti, specialmente quelli che operano in luoghi dove ogni distrazione può uccidere.
É per questo motivo che TPI ha creato un indirizzo mail crittografato che possa far sentire più al sicuro i tanti freelance che ci mandano i loro pezzi da ogni parte del mondo.
Assieme all’indirizzo, troverete un breve tutorial per installare i software necessari (è tutto gratuito e relativamente semplice.) Basta? No. I problemi di tanti, troppi freelance italiani non finiscono qui. Ma è il minimo sindacale.
Lo ripeto per la terza volta: non sappiamo, non c’è nessuna prova che la mancata crittografia abbia contribuito in qualunque remotissima maniera a ciò che è successo a Giulio Regeni.
Centinaia di egiziani diventano desaparecidos ogni mese senza che scrivano un solo rigo su un giornale.
Una testata ha però il dovere di minimizzare il rischio che cose del genere accadano, soprattutto quando basta un semplice clic. Il solo pensiero che non si si faccia abbastanza per proteggere i nostri giornalisti è insopportabile.
—– TPI ha deciso di creare una email criptata per chiunque voglia inviarci informazioni o documenti sensibili, minimizzando il rischio di essere intercettato. Ecco come
— Asciugate le lacrime, si torna a guardare il portafogli, scrive Amedeo Ricucci
— Qui una riflessione sul giornalismo italiano dopo la morte di Giulio Regeni: sei anni fa ero al Cairo. Inviai un articolo al Riformista. Il mio redattore capo decise di cancellare una riga dal mio pezzo. Oggi quel gesto assume un importante valore. Ecco perché, di Azzurra Meringolo
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