La Direzione Investigativa Antimafia (Dia) di Palermo ha confiscato beni per un valore di 400 milioni di euro a Giuseppe Acanto, 58 anni, ex deputato regionale ritenuto legato ai vertici del clan mafioso di Villabate. La confisca riguarda beni mobili e immobili, rapporti bancari, l’intero capitale sociale e i compendi aziendali di varie società e quote societarie.
Il provvedimento, emesso dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale su proposta del direttore della Dia, arriva al termine di una complessa attività investigativa secondo cui Acanto gestiva la contabilità di società riconducibili alla famiglia mafiosa di Villabate.
Secondo la Dia, negli Novanta Acanto era stato il socio in affari illeciti di Giovanni Sucato, noto come il “mago dei soldi”, che aveva truffato migliaia di persone, tra cui anche appartenenti a Cosa nostra, per poi sparire con un ingente capitale. Nel 1996 Sucato era stato trovato morto nella auto bruciata.
All’epoca Acanto, dopo aver subito l’incendio del suo studio professionale, si era reso irreperibile. Nel 1994, dopo essere stato perdonato grazie alla mediazione di elementi di spicco della famiglia di Villabate, aveva ripreso le attività da commercialista e si era dedicato alla costituzione di società in nome e per conto degli uomini del clan.
Grazie alle sue attività era riuscito a trovare interlocutori privilegiati all’interno dell’amministrazione del Comune di Villabate, poi sciolto per infiltrazioni mafiose, tanto da farsi nominare direttore del Mercato ortofrutticolo. Avvicinatosi all’attività politica, si era occupato di sviluppare ogni operazione economica d’interesse del clan di Villabate, come la costruzione di un centro commerciale.
Candidato alle elezioni regionali del 2001 con la lista Biancofiore, è stato il primo dei non eletti ma a seguito delle dimissioni di un parlamentare aveva ottenuto il seggio all’Assemblea regionale siciliana.
Per gli esiti delle indagini sono state fondamentali le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Campanella, ex braccio destro del boss Nino Mandaà, che tra il 2002 e il 2004 aveva ricevuto l’incarico di gestire la latitanza del capomafia Bernardo Provenzano, occupandosi anche degli aspetti logistici, assistenziali e amministrativi del suo ricovero in una casa di cura a Marsiglia, in Francia, per un intervento alla prostata.
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