“Ho sempre combattuto. Da quando Alessio è piccolo, ho sempre combattuto per lui. Battaglie su battaglie”. A parlare è Anna e le battaglie di cui parla sono quelle che porta avanti quotidianamente per rendere la vita di suo figlio normale, perché normale non è. Alessio ha 25 anni e la sindrome di Asperger: “Fortunatamente mio figlio è borderline, sulla linea risicata del famoso essere normali/non essere normali”.
Quella di Anna e Alessio è una storia di resistenza. Contro tutti, contro il pregiudizio, contro una società che respinge e non accoglie. Questo, però, non ha fermato Anna, che si è accanita contro l’ennesima ingiustizia gratuita e ha scelto di spendere le sue energie per fare in modo che Alessio incontrasse sulla sua strada meno ostacoli di quelli che il mondo gli ponesse davanti con ostinazione.
Lo ha fatto partendo da quella che è la vocazione del figlio: la musica. Una passione che trova il supporto concreto, determinante di una dote: quella dell’orecchio assoluto. Ha visto crescere il figlio con la dedizione per le note: l’attenzione alla musica è stata il filo rosso dei suoi 25 anni.
A cinque anni inizia a frequentare una scuola di musica. Un pianoforte e Alessio diventa un’altra persona: “Sul palco è irriconoscibile”, sorride Anna. “Abbiamo iniziato a chiederci perché nostro figlio non potesse seguire le lezioni al conservatorio come gli altri. A quello di Frosinone è stato estromesso insieme ad altri ragazzi perché non ‘normale’ – così ci hanno detto tra le righe. Ho scritto una lettera al Conservatorio di Santa Cecilia e hanno voluto vedere Alessio. Mi hanno detto che era un talento. Fino a oggi, però, ha potuto frequentare le lezioni da ‘esterno’, non come tutti gli altri alunni, ma quello era l’unico modo”.
“Il problema è che è sempre entrato negli istituti grazie a progetti specifici”, aggiunge. Senza quei progetti, le porte di qualsiasi istituto si chiudono. La battaglia di Anna è proprio quella di fare in modo che non sia necessario aggrapparsi a “piani speciali” per continuare a studiare e andare al conservatorio – o intraprendere un qualsiasi percorso di studi finito il liceo – diventi una strada scontata anche per i ragazzi autistici.
Anna parla e ha la voce risoluta, come la battaglia che porta avanti da venti anni. I contorni duri di questa società hanno fatto in modo che quella di Alessio non dovesse mai essere l’esistenza di un adolescente “normale”. Non si tratta di ignorare la problematica, spiega la madre. Alessio non è come gli altri: il problema è che tutto quello che gli gira intorno glielo sbatte in faccia senza pietà e i problemi si moltiplicano anche quando non esistono. Così anche un diritto come quello allo studio diventa qualcosa di speciale, di straordinario.
Quella di Anna è una di quelle battaglie assurde, dentro le quali si leggono tutti i limiti di un mondo immaturo, volutamente impreparato ad aprirsi al diverso, a riconoscerne la ricchezza. La storia di Alessio è quella di tanti altri ragazzi nati “normali” e cresciuti “diversi”. È la storia di un condannato all’emarginazione sociale, per cecità.
Quella di Anna è una di quelle battaglie per la normalità, in cui l’ovvio diventa a tratti irraggiungibile. “Il diritto allo studio è il diritto di tutti i ragazzi. Loro hanno una marcia in più rispetto alla ‘normalità’, sotto tante sfumature. Il loro handicap è quello di non saper esprimere quello che hanno dentro. Tutto qua”.
È una di quelle battaglie, quella di Anna, che ci fa arrossire dalla vergogna, per aver scelto di non vedere troppe volte. Ha iniziato a combattere da sola, Anna, ma a un certo punto si è trovata accanto i docenti del Conservatorio di Santa Cecilia, e, soprattutto, il preside. Non a caso, perché la battaglia di Anna era anche sua, personale, con un figlio affetto dall’autismo e costretto a una vita a metà.
“Questi ragazzi finiscono nel dimenticatoio e il problema sorge quando terminano la scuola”: sogni e talento in tasca e davanti solo il vuoto. “In Italia, nella nostra ignoranza, non siamo capaci di vedere tutte le loro attitudini”, spiega. E così diventa difficile pensare a un percorso di studi universitario e, peggio ancora, al lavoro.
“Adesso sono giovane e posso combattere per lui, ma domani chiuderò gli occhi e mio figlio, come tanti altri figli, sarà solo”, dice ancora più determinata.
Così nasce Recercare a mente, il progetto di formazione che vede la sinergia del Conservatorio di Santa Cecilia di Roma e della comunità Exodus di don Mazzi, e coinvolge sei ragazzi, dai 18 ai 35 anni, affetti da autismo che verranno accompagnati in un percorso individuale di 600 ore, per dieci mesi complessivi.
Ma il progetto non è mirato solo alla formazione. Infatti l’obiettivo è quello di fare in modo che l’inclinazione per la musica di questi ragazzi diventi occasione di lavoro. Ognuno di loro verrà inserito in uno specifico corso di studi, a seconda delle propensioni: canto, strumenti ma anche accordatura pianoforti o liuteria. I programmi saranno tagliati sulle specifiche competenze dei ragazzi, in base anche alle valutazioni fornite dal personale medico.
La proposta di Anna, stesa dalla professoressa Teresa Chirigo (“ci ha messo l’anima, la fase progettuale l’ha fatta tutta lei, da mamma e docente”) è stata apprezzata e ora è diventato un progetto finanziato a livello europeo con un fondo da 249mila euro.
È un’idea che va oltre i confini del corso di studio in conservatorio: “In Europa ci hanno finanziato il progetto, ma chiedono che si dia luogo a una legge che faccia in modo che i ragazzi affetti da autismo siano messi nelle condizioni di trovare un lavoro una volta finita la scuola”, spiega Anna.
“Ci sono dei ragazzi che hanno attitudini particolari. Certo, non potrebbero fare gli avvocati, ma possono fare i ricercatori, i tecnici, gli informatici e tante altre professioni”. “Sono stanca e non voglio più perdere tempo. I ragazzi affetti da autismo non devono essere premiati, è un loro diritto quello di accedere allo studio, e hanno bisogno di far valere le loro inclinazioni nel mondo del lavoro”, continua.
Madri stanche ma risolute che non si fanno intimorire dalla burocrazia. “Il nostro obiettivo è la legge: non servirà più un progetto per far studiare i nostri ragazzi. Il diritto allo studio non è solo dei normodotati. Quando i genitori non ci saranno più, non avranno le stesse opportunità degli altri e noi abbiamo il dovere di fare qualcosa, ora”, spiega rigida: “Io non voglio fermarmi: voglio fare in modo che questa cosa non resti solo un progetto”.
Uno degli obiettivi è quello di indirizzare i ragazzi al lavoro, assecondando le loro attitudini. “Mio figlio, ad esempio, accanto al corso di musica ne sta facendo uno di liuteria e accordatura del pianoforte, un lavoro che potrà fare anche in futuro. Alessio quest’anno fa l’apprendistato, ma dall’anno prossimo andrà nelle botteghe dove accordano gli strumenti. Fa una cosa che gli piace e che sa fare. Ecco, così si aiutano questi ragazzi a livello lavorativo. Questo anche grazie ai professori che si sono resi disponibili a guardare alle esigenze dei ragazzi al di là delle lezioni in aula”.
Il conservatorio si impegna a capire le attitudini dei ragazzi e a creare dei percorsi, ma non solo: “Il direttore ha specificato che l’interesse finale è fare in modo che tra dieci mesi, i ragazzi potranno fare una domanda per entrare, come tutti gli altri”. Senza progetto, finalmente.
La battaglia di una madre diventa la vittoria di sei ragazzi, oggi. La vittoria di tutti, domani.
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