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Luigi Di Maio contro il padre: “Mi hai mentito, ora come faccio?”

Di Laura Melissari
Pubblicato il 28 Nov. 2018 alle 09:02 Aggiornato il 29 Nov. 2018 alle 14:49

Il caso del padre di Luigi Di Maio, finito nella bufera dopo il servizio delle Iene sui lavoratori in nero, si sta ingigantendo. (Qui tutta la vicenda)

Secondo quanto riferisce il Corriere della Sera, all’interno del Movimento 5 stelle si inizia a tremare. “Tocca a Luigi, siamo fregati”, si dice ai vertici. Nello stesso articolo si racconta di una furiosa litigata tra il vicepremier e il padre Antonio: “Mi hai mentito. Mi avevi detto che era un caso isolato e invece sono quattro in nero. Mi hai fatto fare questa figura davanti a tutti. E ora come faccio?”, si chiede preoccupato il leader del partito che ha fatto dell’onestà il suo cavallo di battaglia.

Molte cose non tornano nelle ricostruzioni del caso che si sono susseguite dopo il servizio delle Iene. Che ruolo ha Di Maio figlio nella vicenda? Ha commesso errori anche lui? Si chiedono all’interno del M5s.

Chi è Antonio Di Maio, il padre “scomodo” del vicepremier Luigi

Luigi Di Maio non è del tutto estraneo alle vicende della società del padre, la Ardima Srl., dal momento che ne è socio, avendone ereditata una parte nel 2012. Oggi il ministro del lavoro è titolare del 50 per cento delle quote, insieme alla sorella Rosalba. È il terzo fratello a gestire l’azienda.

“Molti di noi hanno mollato società e lavori per evitare conflitti d’interesse. Lui non ci lavorava, d’accordo, ma forse avrebbe fatto meglio a sbarazzarsene per tempo”, ha riferito un parlamentare al Corriere della sera.

Di Maio si trova in una posizione “pericolosa” dal momento che dal suo ministero dipende l’Ispettorato del lavoro, che potrebbe potenzialmente intervenire sull’azienda di cui lui stesso è proprietario.

Per quanto riguarda il sospetto avanzato dalle Iene, ovvero se Di Maio abbia lavorato anche lui in nero nell’azienda del padre, il vicepremier fa chiarezza.

“Ho lavorato poco e regolarmente con mio padre. Esibirò tutte le carte”, ha detto a Di Martedì il 27 novembre.

“Non posso essere io a pagare le colpe di mio padre, per storie vecchie di dieci anni. Io non ne sapevo nulla. Che cosa c’entro con questa storia?”, dice Di Maio secondo le indiscrezioni, e riferisce di non parlare più al padre dopo la litigata.

Il servizio delle Iene del 25 novembre con la denuncia di Salvatore Pizzo

Nel servizio andato in onda il 25 novembre 2018 un lavoratore di Pomigliano D’Arco, Salvatore Pizzo se la prende con l’ex vicepresidente della Camera per uno dei suoi cavalli di battaglia anche durante la campagna elettorale: onestà e, dunque, lotta al lavoro nero.

L’uomo, a tal proposito, sostiene di aver lavorato per diverso tempo nella ditta di famiglia senza essere contrattualizzato.

Ci sarebbero “almeno” altri tre dipendenti in nero nell’azienda di Antonio Di Maio, padre del ministro del Lavoro. È quanto racconta la nuova puntata delle Iene, in onda martedì 27 novembre 2018 nella quale gli inviati smentirebbero la versione del ministro, per il quale “si tratta di un caso isolato”.

Dal 2009 al 2010 Sasà – appunto Salvatore Pizzo – racconta di aver lavorato nell’azienda edile che da 30 anni è gestita da Antonio Di Maio, padre del vicepremier. La società è stata in un primo momento intestata alla madre, Paola Esposito, e successivamente è confluita nell’Ardima srl, di proprietà – dal 2012 – del ministro Di Maio e della sorella Rosalba al 50%.

Pizzo, secondo la sua ricostruzione, avrebbe lavorato per un anno in nero – nonostante le ripetute richieste di regolarizzazione della sua posizione – e sarebbe stato pagato in contanti. Come lui, altre due-tre persone, ossia quasi la metà della ditta.

Antonio Di Maio avrebbe chiesto a Pizzo di non dire in ospedale come si fosse procurato l’infortunio (sul posto di lavoro). Ma l’uomo, invece, avrebbe riferito tutto ai medici. E dopo la guarigione viene licenziato.

A quel punto Pizzo si rivolge al sindacato – la Cgil – e Antonio Di Maio gli fa un contratto di sei mesi. Ma, dopo poco, lo licenzia nuovamente. Pizzo, invece di fargli causa, accetta i 500 euro che il padre del ministro gli avrebbe dato per tacere.

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