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    “Quello di Lorenzo è stato un atto di estrema generosità”: parla l’amico Jacopo, anche lui attivista in Siria

    Lorenzo, Jacopo e gli altri attivisti italiani in Siria

    Lorenzo Orsetti ha perso la vita combattendo contro l'Isis a Baghouz, in difesa della rivoluzione della Siria del Nord. Il ricordo dell'amico Jacopo, che aveva conosciuto Tekoser ad Afrin

    Di Futura D'Aprile
    Pubblicato il 19 Mar. 2019 alle 13:41 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 03:01

    La morte del combattente italiano Lorenzo Orsetti il 18 marzo 2019 a Baghouz ha riacceso l’attenzione sulla Siria e sulla lotta all’Isis che ancora prosegue nel villaggio nell’est del paese.

    Per capire cosa è successo a Baghouz e cosa spinge dei giovani italiani a combattere l’Isis, TPI ha intervistato Jacopo Bindi, ragazzo di Torino che ha fatto parte delle strutture civili della rivoluzione nella Siria del Nord e che insieme ad altri cinque attivisti rischia la sorveglianza speciale.

    Lorenzo sembra sia stato colpito alle spalle da jihadisti nascosti in uno dei numerosi tunnel presenti a Baghouz. Avete nuove informazioni in merito?

    Nelle ultime 24 ore non ho avuto nuove informazioni, ma quello che sappiamo è che il territorio di Baghouz è difficile da riconquistare: l’Isis controlla solo un fazzolettino di terra, ma ci sono tunnel e cuniculi per cui il rischio di imboscate è alto e le SDF (Forze democratiche siriane, ndr) si trovano ad affrontare una strenua resistenza dell’Isis.

    Cosa ne è stato del corpo di Lorenzo?

    Il corpo di Lorenzo è ancora in mano all’Isis, che lo ha usato come propaganda. Immagino che i compagni delle SDF riproveranno a recuperarlo il prima possibile. Di solito l’Isis usa i corpi dei combattenti internazionali come propaganda e come merce di scambio.

    Le YPG (Unità di protezione popolare) dovrebbero condurre delle operazioni per recuperarlo. Sapremo di più nelle prossime ore.

    Secondo alcuni media Baghouz è stata riconquistata, ma la SDF scrivono che i combattimenti sono ancora in corso.

    Non è vero che la battaglia per Baghouz è finita e l’episodio di ieri ce lo testimonia. La maggior parte del territorio è nelle mani delle SDF, ma ci sono ancora sacche di resistenza dell’Isis nel villaggio e tra l’altro i miliziani hanno con loro dei civili che usano come scudo umano per rallentare le operazioni delle Forze siriane democratiche.

    Le SDF sono molto caute finché ci sono dei civili nella zona per evitare vittime innocenti. L’Isis invece li usa a proprio vantaggio. Come ho detto i miliziani sono relegati in pochi chilometri, ma parliamo di un territorio che hanno preparato da tempo per poter resistere: è una zona piena di mine e di tunnel che i jihadisti usano per nascondersi e compiere imboscate, il che rende le operazioni di riconquista particolarmente difficili.

    Quindi l’Isis non è sconfitto, come aveva detto anche Lorenzo…

    Esatto. Il problema dell’Isis non è solo territoriale. Lo Stato islamico è un pericolo anche per la sua proposta politica. In alcuni territori liberati esistono ancora delle cellule dormienti pronte a compiere nuovi attentanti: è così in Siria, ma soprattutto in Iraq. Territorialmente la battaglia contro l’Isis si sta concludendo, ma resta il problema dei jihadisti presenti nei campi profughi in Siria.

    Bisogna poi pensare alle famiglie, alle mogli e i ai figli dei miliziani che adesso sono in questi campi e che hanno aderito ai terribili ideali del fondamentalismo. Il problema è anche che i governi occidentali se ne stanno disinteressando, quando invece bisognerebbe intervenire.

    La rivoluzione confederale ha dei programmi per rieducare donne e bambini, ma hanno bisogno di risorse per occuparsi dei prigionieri e anche per poter processare i miliziani. Una delle richieste avanzate ai governi internazionali è di dare loro delle risorse anche per aprire dei tribunali in Siria, dove è più facile recuperare le prove dell’adesione di queste persone all’Isis. Ma ad oggi non ci sono state risposte.

    Tu hai conosciuto Lorenzo personalmente?

    Ho conosciuto Lorenzo quando entrambi eravamo ad Afrin [nel nord della Siria, la città adesso è in mano ai turchi, ndr] negli ultimi giorni della resistenza, quando il nemico era alle porte della città. Era una situazione difficile, avevamo tutti dei dubbi e paure. Lui era appena tornato dal fronte, non aveva esitazioni, credeva in quello che stava facendo e mi disse sarebbe rimasto fino alla fine per proteggere la città e la popolazione di Afrin.

    Aveva questo spirito forte che non poteva non contagiare chi aveva intorno. Poi quando la resistenza ad Afrin è finita e la città è stata evacuata lui è tornato diverse volte al fronte contro l’Isisi. Si è messo in gioco in prima persona sempre, anche quando gli altri pensavano che avesse già dato abbastanza. Era sempre disposto a dare una mano.

    Perché tu, Lorenzo e gli altri siete andati in Siria? 

    Per lottare per degli ideali che ci appartengono, ossia quelli di giustizia, di libertà, di libertà delle donne, che dovrebbero essere condivisi da tutti gli esseri umani in qualsiasi parte del mondo. Come ha detto anche Lorenzo, se ognuno di noi è disposto a superare i propri interessi individuali per assumersi la responsabilità di cambiare le cose che non vanno, di combattere le ingiustizie, allora è così che questi ideali vivono e che si ottengono dei veri cambiamenti.

    La rivoluzione in Siria del Nord è qualcosa che sta accadendo in Siria, ma che ci riguarda tutti perché è per tutti noi una speranza, una possibilità: se quell’esperimento ha successo anche noi possiamo avere successo, se viene distrutto anche noi perdiamo.

    Nel momento in cui uno va in Siria anche solo per conoscere quella realtà non può fare finta che sia qualcosa che non ci riguarda. Quando incontri i giovani, alcuni anche più piccoli di te, che hanno combattuto contro quei miliziani dell’Isis che minacciano anche l’Europa e che vogliono portare l’oppressione in tutto il mondo senti un debito verso di loro, per cui non puoi pensare di andartene e lasciarli lì a combattere per tutti.

    Anche Lorenzo nella sua estrema generosità verso gli altri non poteva ignorare quanto accadeva in Siria.

    Anche noi nei nostri paesi diciamo che l’estremismo non ci va bene e che vogliamo vivere in una società diversa in cui tutti decidano assieme, in cui le donne siano libere e e che tuteli l’ambiente. Allora o sono solo parole e mera propaganda elettorale contro l’Islam come quella del ministro Salvini o si decide di fare qualcosa perché tutto ciò diventi realtà.

    Prendere posizione è importante nel momento in cui dire determinate cose vuol dire anche metterle in pratica e non rimanere indifferenti davanti alla sofferenza umana.

    >>La morte di Lorenzo in Siria ci insegna che dobbiamo schierarci
    Il 25 vi aspetta l’udienza per la sorveglianza speciale. 

    Sì. La procura di Torino sta chiedendo la sorveglianza speciale per chi ha combattuto l’Isis e non si può pensare che non sia una minaccia anche per chi ancora è in Siria. É anche un insulto alle Forze siriane democratiche, alle memoria di Lorenzo.

    Per noi ha un valore ancora più grande contrastare questa iniziativa perché non riguarda solo noi, non è più un affare che interessa unicamente chi è individualmente coinvolto.

    >>Io, combattente italiano in Siria al fianco dei curdi: “La guerra con l’Isis non è finita”
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