Quaranta professori belgi di origini italiane hanno scritto una lettera indirizzata al ministro dell’Interno, Matteo Salvini, per esprimere il loro dissenso verso le politiche migratorie del Viminale e che il decreto Sicurezza ha reso ancora più stringenti.
Nella lettera, i professori invitano il ministro a imparare dal passato dell’Italia, a pensare a tutti quegli italiani che sono stati costretti a emigrare nei paesi europei più ricchi in cerca di un futuro migliore e che venivano trattati nello stesso modo in cui adesso Salvini tratta chi arriva dall’Africa.
Il testo della lettera indirizzata a Matteo Salvini e pubblicata su Le Soir:
“Venerdì scorso 14 settembre, durante un incontro europeo, il ministro italiano dell’Interno Matteo Salvini e il ministro lussemburghese degli Affari esteri Jean Asselborn hanno avuto un violento scontro verbale, a dimostrazione del clima passionale che si è creato attorno al tema dell’immigrazione in Europa.
Al ministro lussemburghese che ricordava la necessità di un’immigrazione gestita per far fronte alla crisi demografica in Europa, il ministro Salvini ha risposto di essere pagato per fare in modo che i giovani italiani ricomincino a far figli e non per far venire nuovi schiavi africani operando così una ‘sostituzione etnica’ in Italia e in Europa.
In quanto cittadini italiani residenti all’estero, emigranti o figli di emigranti, non possiamo che essere scioccati dalla totale assenza di prospettiva storica nella dichiarazione del ministro Salvini. Il ministro lussemburghese ha avuto ben ragione di rammentare al ministro italiano l’utilità di riferirsi alla storia dell’emigrazione italiana per comprendere i flussi migratori contemporanei, pur non essendo questi ultimi della stessa natura della prima.
Tra il 1946 e il 1960 l’Italia prese contatti con un certo numero di paesi europei per esportare italiani disoccupati, poveri e senza avvenire, del Nord e del Sud dell’Italia. Convenzioni bilaterali furono firmate dall’Italia con il Belgio (1946), la Francia (1947), i Paesi Bassi (1948), la Germania (1955), il Lussemburgo (1957), la Svizzera (1964) per l’esportazione di manodopera. Prima della creazione dell’Unione europea, più di un milione di italiani, spesso con le famiglie, fu costretto a lasciare l’Italia. Italiani costretti all’esilio.
L’Italia ha esportato la propria miseria per assicurarsi uno sviluppo economico negli anni Sessanta. L’Italia ha esportato una parte della sua gioventù per permettere ad un’altra parte di essa di trovare lavoro in Italia.
In Belgio, nei Paesi Bassi, in Lussemburgo, in Germania, in Francia, in Svizzera, i migranti italiani hanno dovuto affrontare il rifiuto, il razzismo quotidiano, la discriminazione all’accesso all’alloggio, alle associazioni, ai bar, alcuni dei quali, nel Belgio degli anni Cinquanta, vietavano l’ingresso ai cani e agli italiani. Gli immigrati italiani sono stati considerati come criminali pericolosi da rimandare a casa. Venivano stigmatizzati perché ‘rubavano’ le donne del posto. Si diceva di loro che sottraevano il lavoro ai cittadini nazionali. Erano accusati di approfittare della sicurezza sociale.
Ricordiamoci di quando in Belgio si cantava negli anni Sessanta, con la pronuncia italiana, ‘à la moutouelle’, darsi malato. L’Italia li ha dimenticati questi migranti, non se ne è mai veramente interessata. Eppure hanno contribuito alla crescita economica non solo dei paesi europei di arrivo, ma anche di quello di partenza, l’Italia, come pure alla demografia dei paesi di accoglienza.
Gli argomenti utilizzati oggi dal ministro Salvini contro gli africani sono esattamente gli stessi usati nel dopoguerra contro gli emigranti italiani, la cui storia nell’Europa del Nord, come già era capitato in precedenza nelle Americhe, è stata segnata da discriminazione, razzismo e stigmatizzazione. I terroni, gli italiani del Sud emigrati nel Nord Italia, quindi nel loro stesso paese, si sono trovati confrontati ad identiche situazioni e agli stessi problemi, come ce lo racconta magistralmente il bellissimo film di Luchino Visconti Rocco e i suoi fratelli.
La questione migratoria è molto complessa. Si tratta di una questione globale che non può ricevere una risposta riduttiva. La chiusura o l’apertura totale delle frontiere sono posizioni irrealistiche. Sarebbe meglio perciò che il ministro Salvini s’informasse sulla storia delle migrazioni per capire le dinamiche attuali. Non è sostenibile dire che gli italiani devono fare più figli o che i posti di lavoro occupati oggi dai migranti vanno riservati ai cittadini nazionali.
Sarebbe meglio dire cose vere, e cioè che si dica ai giovani italiani che devono andare nei campi a raccogliere frutta e verdura al posto dei migranti, che gli si dica di occuparsi dei malati e dei genitori anziani al posto delle migranti dell’est o delle filippine, che si dica che devono accettare lavori precari e poco considerati nei ristoranti, nell’orticoltura, negli alberghi, nell’edilizia, di sostegno alle famiglie, ecc.
Potrà mai il ministro Salvini affermare queste verità mentre il suo paese, come la maggior parte dei paesi europei, conosce una profonda crisi demografica che non consentirà di assicurare una sicurezza economica e sociale ai suoi concittadini?
Alessandro Parente (ULB)
Andrea Rea (ULB)
Annalisa Casini (UCL)
Anne Morelli (ULB)
Calogero Conti (UMons)
Carmine Casarin
Danisa Zapparrata (UCL)
Denise Monas
Dominique Nocera
Elsa Mescoli (ULiège)
Federica Infantino (ULB)
Finella Nocera
Francesco Ragazzi (Leiden University)
François Licata
Gianluca Bontempi (ULB)
Hugues Bersini (ULB)
Irene Di Jorio (ULB)
Isaline Bergamaschi (ULB)
Jacinthe Mazzocchetti (UCL)
Joseph Pagano (UMons)
Laura Calabrese (ULB)
Laura Merla (UCL)
Laurent Licata (ULB)
Luc Albarello (UCL)
Marco Dorigo (ULB)
Marco Martiniello (ULiège)
Maria Assunta Alu (CASI)
Mario Alu
Matteo Guagliolo (ULB)
Oberdan Leo (ULB)
Paola Moreno (ULiège)
Pasquale Nardone (ULB)
Patrice Cani (UCL)
Pietro Lunetto
Roberto Pozzo (CASI)
Salvatore Calà (CASI)
Silvana Pavone
Silvia Lucchini (UCL)
Silvia Mostaccio (UCL)