Un comune amore per la filosofia, a partire da Voltaire e Machiavelli. Un rapporto, quello tra Grande Stevens, l’avvocato di Gianni Agnelli, e Sergio Marchionne che sembrava essere iniziato come un legame padre-figlio per poi maturare in una relazione tra pari. Sono alcuni dei ricordi che emergono nella lettera, pubblicata dal Corriere della Sera, che Stevens scrive per raccontare il collega di un lunga carriera e il migliore amico di una vita.
L’avvocato, che ha appreso da Londra le irrimediabili condizioni di salute di Marchionne, ricorda i momenti simbolici del loro rapporto. A partire dall’inizio, quando Umberto Agnelli aveva elogiato le qualità di un giovane Marchionne chiedendo che fosse chiamato in azienda. “Umberto aveva valutato Marchionne dai risultati eccezionali che aveva raggiunto lavorando per la Sgs, Société Générale de Surveillance, società di assicurazioni ginevrina”.
Con Marchionne, “la Sgs ebbe un enorme sviluppo. E questa fu la ragione principale per la quale Umberto Agnelli, sul punto di morire, consigliò a Gabetti e a me di assicurare alla Fiat quest’uomo. Così facemmo”, ha ricordato sulle pagine del quotidiano.
Per Stevens, è stata l’infanzia passata in Canada a insegnare a Marchionne il senso della disciplina e la consapevolezza dell’importanza della cultura. “La prima gli veniva dall’infanzia che fu difficile. Da ragazzino, dopo la scomparsa del padre maresciallo dei carabinieri, con la mamma emigrò da Chieti negli Abruzzi a Toronto in Canada, presso una zia che commerciava in dettaglio ortofrutticoli. Un trasferimento affatto facile per lui. Imparò così il rigore e capì il binomio disciplina-cultura”.
“Sergio è un uomo che sarebbe piaciuto a Giovanni Agnelli, che da sabaudo illuminato aveva dimostrato sempre grande interesse per gli intellettuali e per i sofisticati meccanismi finanziari dedicando del tempo ad affrontare tematiche di cultura illuministica e storica. Giovanni Agnelli ne avrebbe apprezzato la unicità”, ha aggiunto.
“Gabetti ed io avremmo potuto considerarlo per la nostra età un figlio (il mio primo ha soltanto quattro anni di meno) e invece divenne un nostro fratello, che ci consultava e ci insegnava che cosa vuol dire occuparsi del successo di una grande azienda”, si legge sul sito del quotidiano.
“Il dolore per la sua malattia è indicibile. Quando dalla tv di Londra appresi il giovedì sera che egli era stato ricoverato a Zurigo, pensai purtroppo che fosse in pericolo di vita. Perché conoscevo la sua incapacità di sottrarsi al fumo continuo delle sigarette. Tuttavia, quando seppi che era soltanto un «intervento alla spalla», sperai. Invece, come temevo, da Zurigo ebbi la conferma che i suoi polmoni erano stati aggrediti e capii che era vicino alla fine”.
“Marchionne ha lasciato una società che ha raggiunto l’incredibile risultato dell’azzeramento del debito e l’avvio di una vita di successi. Mi auguro che sulla strada che egli ha tracciato, sul suo esempio, la Fca prosegua con gli stessi risultati. Soltanto così il grande dolore di tutti noi potrà alleviarsi”, ha concluso Stevens.