La lapide in ricordo del rapimento di Aldo Moro e dell’uccisione della sua scorta, che si trova a Roma in via Fani è stata imbrattata nella notte tra il 21 e il 22 marzo. Due lettere rosse, B e R, che fanno subito pensare alle Brigate rosse, sono apparse ai due lati del monumento.
Nel luogo dove oggi si trova la lapide, il 16 marzo 1978 un commando delle brigate rosse aveva rapito il presidente della Democrazia Cristiana e ucciso gli uomini della sua scorta. Il corpo senza vita di Moro fu trovato 55 giorni più tardi, il 9 maggio, nel bagagliaio di una Renault rossa dall’allora Comandante del Nucleo investigativo, Antonio Cornacchia.
I carabinieri della stazione Montemario hanno scoperto nella notte la comparsa della scritta sulla lapide. La stessa lapide era stata vandalizzata nel mese di febbraio, quando sulla lapide era comparsa una svastica e la scritta “A morte le guardie”.
Il 16 marzo 2018 è ricorso il 40esimo anniversario della strage di via Fani. Nel giorno della presentazione del nuovo governo, il quarto guidato da Giulio Andreotti, la Fiat 130 che trasportava Moro dalla sua abitazione nel quartiere Trionfale zona Monte Mario di Roma alla Camera dei deputati, fu intercettata da un commando delle Brigate Rosse all’incrocio tra via Mario Fani e via Stresa. Gli uomini delle Brigate Rosse uccisero i cinque uomini della scorta (Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera, Francesco Zizzi) e sequestrarono il presidente della Democrazia Cristiana.
Il 9 maggio 1978, alle 13.20 circa,il comandante Antonio Cornacchia – nome in codice Airone 1 – ricevette una telefonata via radio dalla centrale operativa dei Carabinieri di Roma, che gli comunicava la presenza di una macchina sospetta parcheggiata a via Caetani. Fu lì che venne scoperto, nel bagagliaio, il corpo senza vita dell’onorevole Moro.
Cornacchia fu l’uomo che per primo vide il corpo di Aldo Moro.
Dal mattino del 16 marzo, giorno del rapimento di Moro, il Nucleo investigativo dei Carabinieri di Roma, stava cercando di scoprire “la prigione del popolo”, il covo in cui le Brigate Rosse tenevano nascosto il politico democristiano.
Il racconto del ritrovamento
“La mattina del nove maggio, erano circa le 13.20, io mi trovavo a piazza Ippolito Nievo, lungo viale Trastevere”, ricorda Cornacchia. “Ricevetti una telefonata del mio collega, il colonnello De Donno, che dalla centrale operativa dei Carabinieri di Roma mi diceva di portarmi in via Caetani. Pochi minuti prima aveva ricevuto dalla Questura di Roma la segnalazione di una macchina sospetta. Mi indicò anche una parte della targa: Roma N5”, racconta l’ex generale.
“Impiegai sei o sette minuti ad arrivare in via Caetani”, prosegue Cornacchia. “Dopo aver oltrepassato il ponte Garibaldi, via Arenula, Largo Argentina e via delle Botteghe oscure, la seconda strada sulla destra è via Caetani. Raggiunsi la strada prima delle 13.30. Localizzai l’auto e diedi un’occhiata all’interno, l’abitacolo era tutto libero. Era una Renault 4 rossaamaranto. Notai nel portabagagli posteriore, dal lunotto, che c’era un plaid che copriva qualcosa di voluminoso, ma naturalmente non potevo sapere cosa fosse”.
Cornacchia racconta che a quel punto telefonò via radio alla centrale, e diede altre indicazioni sulla macchina, completando il numero di targa. Il suo collega gli disse: “Non toccarla, attendi che arrivino gli artificieri”.
Nell’attesa, il comandante chiese notizie sull’automobile ai funzionari della Biblioteca vicina. Da quanto era parcheggiata lì? “Seppi che uno dei funzionari della biblioteca era solito parcheggiare la macchina lì. E quella mattina aveva trovato il posto occupato. Per cui potei stabilire l’ora esatta in cui la macchina fu parcheggiata lì: alle 8 meno cinque del mattino”.
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