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La Google Tax e il mercato unico

In Italia si parla di Google Tax, ma è contro i principi fondamentali dell'Unione Europea

Di Anna Ditta
Pubblicato il 6 Nov. 2013 alle 09:08

“L’Italia propone una Google Tax interamente illegale”. Così titola la rivista americana Forbes riferendosi alla proposta avanzata dal Partito Democratico di una legge in grado di aumentare le entrate pubbliche rendendo più costoso per aziende multinazionali come Google, Amazon e Yahoo fare affari in Italia.

“È davvero giunto il momento che i politici europei capiscano le leggi e le regole che essi hanno già sottoscritto”, commenta Forbes. Il problema fondamentale secondo la rivista è che i politici sono turbati dal fatto che alcune compagnie, come Google, Apple e Facebook, si siano stabilite solo in un Paese dell’Unione Europea per fare affari in tutti gli Stati membri. Questo infatti priverebbe Paesi come l’Italia di una giusta quota di entrate fiscali derivanti dagli utili sulle vendite effettuate nel territorio italiano.

Ma per Forbes, “ciò che sfugge loro è che questa è la pietra angolare, il più fondamentale degli attributi di base, dell’approccio dell’Unione europea al commercio. Il punto è che dovrebbe essere un mercato unico, e in quanto tale un business deve essere dunque in grado di vendere oltre quei confini internazionali”. La Google Tax sarebbe quindi contraria all’idea del mercato unico e della libertà di mercato all’interno dell’Unione.

“È difficile sapere quanto dovremmo essere infastiditi da questi politici”, scrive la rivista, aggiungendo: “Sono davvero così ignoranti che non capiscono il sistema che loro stessi hanno costruito? O se invece lo capiscono, stanno solo proponendo idee illegali per ottenere un guadagno politico immediato?”

La Google Tax è l’ultima di una serie di proposte dei politici italiani riguardanti le multinazionali online, ma nessuna è stata finora tradotta in legge. Secondo quanto riportato dall’agenzia Reuters, l’idea del Pd non avrebbe come obiettivo quello di tassare le multinazionali direttamente ma le costringerebbe ad usare solo aziende italiane per collocare i loro annunci pubblicitari, piuttosto che farlo tramite terzi aventi sede in Paesi a bassa tassazione come il Lussemburgo, l’Irlanda o Paesi al di fuori dell’Unione Europea. Lo Stato italiano beneficerebbe in questo caso della tassa imposta sul reddito extra delle agenzie pubblicitarie italiane e dei fornitori di servizi Internet.

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