Il fine giustifica i mezzi, quando in ballo ci sono sicurezza e stabilità nazionali. Così almeno sembra pensarla una buona fetta di italiani, per i quali la paura di un’immigrazione incontrollata è un valido motivo per una politica incentrata sui respingimenti – anche a costo di esporre i migranti a trattamenti disumani – o per l’invio di soldati in Libia, dove potrebbero trovare un ambiente ostile.
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Allo stesso modo, la minaccia del sedicente Stato islamico accresce il consenso per l’impegno militare italiano in Iraq, così come il senso d’insicurezza generato dagli attacchi terroristici fa apparire più giustificabile l’uso della tortura nei confronti di sospetti attentatori.
Il sondaggio condotto dal Laboratorio di Analisi Politiche e Sociali dell’Università di Siena, per conto e con la collaborazione dell’Istituto Affari Internazionali, è il ritratto di una società impaurita e per questo anche più “severa”, più incline a legittimare l’uso delle maniere forti, disposta anche a sposare posizioni apparentemente in contrasto con i propri principi.
Una società che invoca oggi sicurezza psicologica, oltre che un miglioramento delle condizioni economiche: all’impatto della crisi nella vita di ogni giorno si somma la percezione di uno squilibrio crescente portato da “invasioni” e nemici esterni. E anche l’Unione europea è vista con minore diffidenza, quando la collaborazione tra gli stati può aiutare contro queste minacce.
Quattro anni fa, all’inizio dell’attuale legislatura, una precedente indagine IAI-Laps aveva analizzato la posizione degli italiani rispetto alle strategie nazionali di politica estera. Molte cose, da allora, sono cambiate.
L’immigrazione priorità assoluta
Nel 2013 al centro dei riflettori c’era la controversia tra Italia e India sull’Enrica Lexie, con l’arresto e la detenzione dei due marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. Forse anche per questo una parte degli italiani indicava tra le priorità della politica estera la difesa dei connazionali all’estero.
Quattro anni dopo, e con le indagini sull’omicidio di Giulio Regeni a tenerci ancora col fiato sospeso, quella percentuale si è ridotta dall’11 all’1 per cento. In compenso, è più che raddoppiato il numero di italiani che considerano prioritari il controllo dei flussi migratori e la protezione dei confini nazionali, con una percentuale salita drasticamente dal 30 al 60 per cento. Un dato che forse ha a che fare anche col sospetto, diffuso, di un legame tra immigrazione irregolare e terrorismo: sono in maggioranza, il 55 per cento, coloro che sostengono questa tesi.
Non solo. Tra le opzioni proposte dal questionario per fronteggiare la crisi migratoria, oltre un terzo degli intervistati sceglie la politica dei respingimenti – e ciò nonostante la stessa opzione indichi, tra le possibili conseguenze, il maltrattamento dei migranti. Un altro terzo, il 34 per cento, è favorevole all’invio di un contingente in Libia per sorvegliare le frontiere, mentre solo il 29 per cento crede ancora nella necessità di assicurare il salvataggio dei migranti in mare, accogliendoli sul territorio italiano.
La crisi migratoria è anche, nonostante le misure promosse dal ministro dell’Interno Marco Minniti, la questione di politica estera su cui l’operato del governo ottiene il giudizio più basso: è bocciato dal 70 per cento degli italiani, con una media voto del 2,9 su 10. Il voto più basso lo danno gli elettori leghisti, seguiti da Forza Italia e Movimento Cinque Stelle, ma anche la media dei voti assegnati dagli elettori di centrosinistra si ferma sotto la sufficienza.
Terrorismo, se la psicosi confonde le idee sulla tortura
Nel 2016 un’indagine Laps aveva messo gli intervistati di fronte a un caso limite, con la domanda: “giustificherebbe l’uso della tortura su sospetti terroristi per sventare attacchi al nostro paese?”. Le risposte allo stesso quesito riproposto un anno dopo, fanno registrare un aumento di chi giustificherebbe l’uso della tortura (dal 27 al 32 per cento).
Ma soprattutto crolla la percentuale di chi vi si opporrebbe. Nel 2016 a dire no alla tortura era il 70 per cento degli intervistati, oggi è solo il 42 per cento, sotto la maggioranza assoluta, anche se una parte di chi è uscito dalle fila dei contrari potrebbe essere finito tra gli indecisi, passati dal 3 al 26 per cento.
Passando all’attuale impiego delle forze armate a difesa delle nostre città, sono in netta maggioranza (il 69 per cento) gli italiani che la ritengono una misura adeguata e necessaria. E c’è anche chi preferirebbe (il 14 per cento) che l’Italia dichiarasse lo stato di emergenza come la Francia.
L’interventismo militare non indigna più come un tempo
La tendenza a giustificare un maggiore impiego dei militari si estende anche alle missioni all’estero. Beninteso, gli italiani non sono ancora diventati degli accesi interventisti, e i favorevoli all’invio di contingenti oltreconfine sono – come nel 2013 – poco meno di un terzo. Ma in quattro anni la percentuale dei contrari alle missioni internazionali è scesa dal 59 al 41 per cento, e gli incerti sono triplicati.
Forse perché è meno vivo il ricordo dell’intervento del 2011 in Libia, mentre è acuta la percezione dei nuovi rischi provenienti dal Medio Oriente. In particolare, si ha forse più chiaro lo scopo dell’azione attuale in Iraq.
Dopo la catena degli attentati che hanno colpito l’Europa, per gli italiani il terrorismo è una minaccia ancora sfocata, ma incombente. Non a caso, se il 42 per cento degli intervistati si dice contrario a qualunque intervento italiano, il 44 per cento sostiene che l’Italia dovrebbe mantenere il suo impegno nella coalizione anti-Isis a nord dell’Iraq, mentre un 14 per cento appoggerebbe anche una partecipazione dell’Italia alle operazioni in Siria.
E pur di arginare l’offensiva jihadista, il 77 per cento degli italiani rafforzerebbe la collaborazione antiterrorismo con la Russia, malgrado non ne condivida la politica in Ucraina e Siria. Cresce anche il consenso per la creazione di un esercito unico europeo (lo reclama il 30 per cento del campione, mentre il 38 per cento chiede, accanto a questo, di mantenere l’esercito nazionale), e per il rafforzamento del ruolo degli degli Stati europei all’interno della Nato (al 62 per cento).
Ma di aumentare le spese per l’Alleanza al 2 per cento del Pil, per la maggioranza degli italiani, non se ne parla.
Italiani e Unione europea, un rapporto tormentato
Il fatto che la maggioranza degli intervistati (il 61 per cento) si opponga a un’uscita dall’Ue non significa che gli italiani vogliano una politica remissiva verso Bruxelles. Tanto che, prospettando loro l’ipotesi di un referendum sull’uscita dalla sola zona euro, la percentuale di chi voterebbe per restare scende al 55 per cento.
Sempre in tema di austerità, il 57 per cento degli interpellati si oppone a un’ulteriore riduzione del debito pubblico (contro il 43 per cento che la ritiene necessaria a prescindere dalla richieste dell’Ue) e il 71 per cento di loro rinuncerebbe a ridurre il debito anche a costo di rompere con l’Unione.
I rapporti Roma-Bruxelles vanno poi visti sempre sotto la lente della politica. Benevolo l’atteggiamento degli elettori di sinistra e centrosinistra, ostile o quantomeno tormentato quello delle altre parti politiche: il 44 per cento degli elettori dei Cinque Stelle vorrebbe, ad esempio, l’uscita dall’Unione, il 53 per cento quella dalla zona euro.
Solo il 27 per cento dei forzisti lascerebbe l’Ue, ma il 46 per cento di loro abbandonerebbe la moneta unica. I leghisti non fanno differenze: la maggioranza uscirebbe dall’Unione e dall’euro. I militanti della Lega si distinguono anche per la loro simpatia per il presidente americano: con il 60 per cento delle risposte a favore, sono gli unici ad approvare in larga maggioranza le politiche dell’amministrazione Trump, invise al 71 per cento degli intervistati.
Il cospirazionismo invade l’opinione pubblica
Gli elettori dei Cinque Stelle e del centrodestra sono invece i più tentati dal dare credito alle visioni cospirazioniste. È altissima la percentuale di chi, tra loro, ritiene che il governo italiano e l’Ue stiano occultando i dati reali sugli immigrati presenti in Italia (67 per cento M5S, 72 per cento Forza Italia, 77 per cento Lega Nord), così come quella di chi crede che la crisi finanziaria sia il prodotto di una cospirazione di banchieri e politici (70 per cento M5S, 58 per cento Forza Italia, 76 per cento Lega Nord).
Ma anche mettendo da parte le ideologie politiche, dal sondaggio risulta evidente come le fake news attecchiscano sempre di più, e trasversalmente, tra gli italiani. La maggioranza assoluta di loro crede davvero che governo (59 per cento) ed Europa (57 per cento) stiano mentendo sui migranti, e una percentuale ancora maggiore, il 59 per cento, sospetta che alle origini della crisi economica ci sia un piano dei poteri forti.
Divisi a metà sul ritorno dell’ambasciatore italiano in Egitto
48 contro 52: queste le percentuali a dividere, praticamente a metà, gli italiani sul caso Regeni. Tra chi – in leggerissima minoranza – ritiene che il governo abbia fatto bene a inviare di nuovo l’ambasciatore in Egitto, riconoscendo l’importanza di salvaguardare i rapporti bilaterali tra i due paesi, e chi invece disapprova per via della reticenza mostrata dal Cairo a condurre serie indagini sull’omicidio del ricercatore.
Il tema travalica la frattura governo-opposizione: con percentuali molto simili, intorno al 60 per cento, sia gli elettori del centrosinistra che quelli di Forza Italia approvano la scelta del governo, mentre gli elettori della sinistra, del M5S e della Lega la bocciano.
— L’analisi è stata pubblicata da AffarInternazionali con il titolo “Le paure che cambiano gli italiani: una su tutte, l’immigrazione” e ripubblicata in accordo su TPI con il consenso dell’autore.
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