I reparti antiterrorismo della polizia e dei carabinieri si sono accorti che a partire da gennaio 2018 i messaggi sul web che invitano a colpire l’Italia sono raddoppiati rispetto all’anno passato. E la gran parte non è scritta in arabo ma in un perfetto italiano.
Prendendo in considerazione anche gli ultimi casi di cronaca – come l’ultimo colpo inferto dalla Polizia italiana alla rete terroristica di Amri, e con il fermo e l’arresto di diversi individui decisi a documentarsi per compiere possibili attentati in Italia o trovare proseliti pro Isis – le misure di sicurezza sono state innalzate.
Il ministro dell’Interno Marco Minniti ha presieduto una riunione straordinaria del Comitato di analisi strategica antiterrorismo (Casa) chiedendo un “ulteriore rafforzamento dei controlli” nelle aree di maggiore afflusso di persone, “nonché verso i luoghi che registrano particolare affluenza di visitatori anche in vista delle festività pasquali”.
Nei giorni di Pasqua, momento anche dall’alto valore simbolico per la cristianità, gli apparati di sicurezza serrano le fila innalzando ulteriormente i dispositivi di sicurezza. A Roma sono stati predisposti 10mila agenti in strada in 5 giorni per garantire anche la sicurezza degli eventi religiosi, come la Via Crucis.
Misure particolari sono infatti previste per la Via Crucis al Colosseo e per la messa di Pasqua, entrambe celebrate dal pontefice. Prevista una doppia area di sicurezza per entrambi gli eventi; nove varchi controllati con metal detector per la Via Crucis; sette per l’area di San Pietro.
Agenti e 007 saranno impegnati per individuare “ogni fonte di possibile rischio e pericolo, con l’obiettivo di garantire il massimo impegno per la sicurezza e la tranquillità di cittadini e turisti”.
Ma perché proprio ora così tante minacce terroristiche all’Italia? In questo articolo una lucida analisi di Giampiero Gramaglia, direttore di AffarInternazionali (IAI).
Gli ultimi arresti
27 marzo 2018, la Digos della Questura di Bari e di Foggia ha arrestato a Foggia un cittadino di origine egiziana, con la cittadinanza italiana, presidente dell’associazione culturale “Al Dawa”, con l’accusa di partecipazione all’associazione terroristica Isis e apologia del terrorismo aggravata dall’uso di mezzi informatici.
L’uomo, 58 anni, sposato con una donna italiana, teneva lezioni di religione ai bambini nel centro culturale islamico di Foggia.
Negli ultimi due anni nel foggiano ci sono stati pesanti arresti, come nel caso di Eli Bombataliev, ceceno fermato nel luglio del 2017 e foreign fighter tra i più pericolosi.
28 marzo 2018, Elmahdi Halili, 23enne italo-marocchino, è stato arrestato a Torino con l’accusa di partecipazione all’associazione terroristica del sedicente Stato Islamico o Isis. Inoltre, 13 decreti di perquisizione sono scattati a Milano, Napoli, Modena, Bergamo e Reggio Emilia.
29 marzo 2018, una nuova operazione antiterrorismo della Polizia è scattata all’alba e ha coinvolto la rete dei contatti italiani di Anis Amri, il terrorista tunisino autore della strage al mercatino di Natale di Berlino, ucciso a Sesto San Giovanni il 23 dicembre 2016.
Su ordine del Gip di Roma Costantino De Robbio, la polizia ha notificato il mandato di cattura a cinque stranieri: il palestinese Abdel Salem Napulsi, già detenuto nel carcere di Rebibbia, e quattro tunisini residenti a Napoli e nel casertano. Uno di loro gli avrebbe dovuto procurare documenti falsi per far uscire Anis Amri dall’Italia.
Gli arresti e le espulsioni, già a quota 28 nel 2018, indicano come l’allerta sia alta.
Due le minacce che preoccupano: i “lupi solitari”, persone che decidono autonomamente di passare all’azione, e i cosiddetti “returnées”, combattenti che rientrano dai teatri di guerra di Iraq e Siria.
“La minaccia jihad mai così forte in Italia”
Sui foreign fighters di ritorno, poco più di 120 quelli che hanno avuto a che fare con l’Italia, in un’intervista a La Stampa il ministro dell’Interno Marco Minniti ha legato l’allarme ai flussi migratori.
“È in atto – ha spiegato – una fuga individuale dai teatri di guerra e per rientrare nei Paesi di provenienza potrebbero usare le rotte già aperte come quelle dei trafficanti di uomini”.
Frontex, da parte sua, ha chiesto attenzione sugli “sbarchi fantasma”, cioè non controllati, da Tunisia e Algeria verso l’Europa. E nelle indicazioni del questore di Roma si invita a fare controlli mirati sugli immobili occupati dove sono presenti numerosi cittadini stranieri provenienti dagli sbarchi”.
Il quadro che è venuto fuori dall’inchiesta sull’imam di Foggia “non ha eguali in Occidente”, ha detto Minniti, spiegando che “il quadro della minaccia di Isis rimane radicalmente immutato. Anzi, la caduta di Raqqa e Mosul, se da una parte fa venir meno l’elemento ‘territoriale’ del Califfato, dall’altro aumenta la pericolosità dell’altra componente, quella terroristica”.
Sembra proprio, poi, che Halili (il 23enne fermato a Torino) fosse pronto a passare dal proselitismo all’azione e dunque si è deciso di intervenire.
Il caso di Foggia, invece, è diverso ma perché si tratterebbe di un episodio di radicalizzazione negli ambienti della moschea.
Uno dei motivi per cui si è giunti all’arresto, tra l’altro, è legato al fatto che da diverso tempo quella Moschea avesse destato attenzione per le connessioni con il mondo jihadista.
I possibili attentatori
Salvo eccezioni, fino a questo momento, gli individui coinvolti sono soggetti nati o cresciuti su territorio nazionale, che talvolta hanno anche la cittadinanza del paese in cui agiscono e che si radicalizzano in questo contesto.
Uno degli elementi più comuni è sicuramente il disagio socio economico che normalmente accompagna le storie di radicalizzazione ma non si può attribuire significato a questo dato perché rispecchia generalmente la condizione di molte comunità musulmane in Italia e dunque non solo i possibili terroristi.
I casi di Torino e Foggia confermano l’impossibilità di trovare un filo rosso che accomuni tutte le vicende. In un caso si è trattato di un esperto informatico che faceva propaganda sul web e cercava nuovi proseliti, nell’altro di un mediatore culturale che stava diffondendo la propaganda pro Isis direttamente in moschea.
Altro elemento su cui si riflette è quello della conversione. Diversi radicalizzati in Italia sono anche dei convertiti.
Da un punto di vista geografico vale la regola della eterogeneità. Il fatto che si registrino più casi al nord che al sud Italia, per esempio, può essere dovuto al maggior numero di popolazione musulmana in quell’area del paese e non ad altre ragioni.