Mentre emergono nuove informazioni sulle cellule jihadiste autrici degli attentati di Bruxelles e Parigi, i singoli stati europei si interrogano sulle proprie “Molenbeek” e le caratteristiche delle organizzazioni jihadiste all’interno dei propri confini.
In Italia, si osserva che il fenomeno jihadista contemporaneo presenta delle caratteristiche specifiche e differenti da quelle dei contesti del Belgio o della Francia. Oggi, la realtà dei cosiddetti foreign fighters, di quella, cioè, che Gilles Kepel chiama la terza generazione jihadista – dopo la generazione dei talebani degli anni Novanta e quella di al-Qaeda degli anni Duemila – appare più circoscritta numericamente e sviluppatasi con qualche anno di ritardo rispetto ad altre realtà europee.
Secondo un rapporto del dicembre 2015 redatto dal Soufan Group, dall’Italia sono partiti alla volta del sedicente stato islamico 87 jihadisti, mentre sono 470 quelli che alla stessa data hanno lasciato il Belgio, 1700 la Francia e 760 sia la Germania che il Regno Unito.
Gli 87 foreign fighters partiti dall’Italia appartengono a tre differenti categorie di persone: sono cittadini italiani, sia convertiti che giovani di “seconda generazione” nati e/o cresciuti in Italia (12 persone); cittadini stranieri che hanno soggiornato in Italia per periodi medio-lunghi (11); cittadini stranieri che sono transitati in Italia, soffermandosi per brevi periodi (64 persone).
Seconde generazioni minoritarie e la percentuale balcanica
Si può facilmente osservare che le “seconde generazioni” sono numericamente minoritarie, contrariamente a quanto accade in Francia e Belgio dove vi è un’alta presenza di giovani (anche minorenni) figli di migranti, nati e/o cresciuti in Europa.
L’esiguo numero di giovani di “seconda generazione” si può spiegare con il fatto che il fenomeno migratorio in Italia è più recente rispetto ad altri paesi europei e, di conseguenza, una nuova generazione di figli delle migrazioni si sta formando solo in questi anni.
Un’altra differenza significativa del contesto italiano da tenere in considerazione sta nel fatto che la maggioranza dei foreign fighters partiti dall’Italia è di origini balcaniche, sebbene le comunità musulmane più importanti sul territorio vengano dal Nord Africa (Marocco, Tunisia ed Egitto) e dal sud-est asiatico (Bangladesh e Pakistan).
In Francia, come in Belgio, molti dei foreign fighters provengono invece da comunità che in queste nazioni sono maggioritarie. A tal proposito, va anche tenuta presente la diversa consistenza numerica delle comunità musulmane presenti nei diversi paesi europei. In Italia, paese di più recente immigrazione, i musulmani sono – secondo dati del Pew Research Center – il 3,7% della popolazione, mentre in Francia rappresentano il 7,5%, in Germania il 5,8%, nel Regno Unito il 4,8% e in Belgio il 5,9%.
Islam europeo e specificità nazionali
Per quanto si sostenga – a giusta ragione – che stia emergendo un Islam europeo, con caratteristiche sue proprie rispetto a quelle dei paesi a maggioranza musulmana, ci sono delle importanti differenze nazionali, non solo di ordine numerico, su cui pesano le storie dei singoli stati europei.
I retaggi coloniali, le politiche migratorie, i modelli di “integrazione”, così come la relazione con la sfera del sacro delineano l’emergere di specificità locali. Nella “laica” Francia, che ha vietato nelle scuole l’hijab, il rapporto tra stato e cittadini con la dimensione religiosa è molto diverso da quello che vige in Italia, dove il Vaticano è un’istituzione ancora dominante e l’Islam si va a collocare di conseguenza in un contesto in cui la religione gioca un ruolo centrale nella vita nazionale.
Contrasto alla radicalizzazione giovanile
Se osserviamo da vicino la situazione europea, ci accorgiamo dunque che l’Italia presenta delle caratteristiche sue proprie sia per quanto riguarda la presenza musulmana sul territorio che per quanto riguardo il fenomeno jihadista.
Ed è proprio a partire da queste differenze e specificità che vanno definiti progetti e linee politiche nazionali per contrastare la radicalizzazione giovanile, senza perdere di vista il contesto transnazionale all’interno del quale il fenomeno jihadista si sviluppa.
— L’analisi è stata pubblicata da AffarInternazionali con il titolo “Italia, il jihadismo di terza generazione” e ripubblicata in accordo su TPI con il consenso dell’autrice.
*Renata Pepicelli è docente di Mediterranean Studies all’università Luiss Guido Carli di Roma. Si occupa di mondo arabo-islamico contemporaneo e di Islam in Europa; concentra la sua ricerca su questioni di genere, condizione giovanile e movimenti dell’Islam politico nel Mediterraneo.
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